martedì, marzo 07, 2006
GALEOTTO FU IL MECCANICO (racconto gay di LA SYD VICIOUS)
GALEOTTO FU IL MECCANICO: LA MIA RICADUTA NEL MONDO DI SODOMA.
Ahimé son caduta! Non è finito nemmeno il Triduo quaresimale e tutti i miei bei propositi son andati a farsi friggere. Altro che grande amore, altro che principe azzurro con cui inaugurare uno stile di relativa castità, altro che vita cristiana. Cosa dirò a padre Licio? Ahimé peccatrice irrecuperabile! A pensare che stamattina, seguendo il consiglio del mio padre spirituale, avevo aperto pure la Bibbia alle pagine in cui si narra di Sodoma e Gomorra… ma a un certo punto, quando gli abitanti malvagi della città vogliono avere commercio carnale con gli angeli, una strana eccitazione si è impadronita di me e non ho potuto continuare più la mia lettura perché i pensieri peccaminosi avevano preso il sopravvento. Immaginavo osceni connubi volanti con bellissime creature che s’involavano godendo nei più luminosi cieli di un Raffaello, orgasmi sublimi che sfumavano in un azzurro pastello mentre le fiamme dell’Inferno non riuscivano a lambire le carni degli amanti che avevano guadagnato la loro libertà dalle catene terrene, librando i corpi sensuali e caldi negli spazi infiniti in direzione delle porte del paradiso, che immaginavo si schiudessero in un tripudio di trombe celestiali… Per distrarmi da questi pensieri poco cristiani ho deciso di andare a farmi mettere le casse per lo stereo nella macchina dal meccanico, cosa che rimandavo ormai da tre settimane. Ho chiamato in officina e mi ha risposto una voce giovane e un po’ rozza, molto sensuale. Ho scoperto che apparteneva al nuovo garzone che il proprietario dell’officina aveva preso con sé a lavorare. Deve essere successo al massimo un paio di mesi fa, perché ricordo che alla fine di dicembre avevo fatto aggiustare il clacson e c’era Tonino da solo, senza nessuno che lo aiutasse. Un tipo simpatico ma non particolarmente attraente, con cui ho instaurato un rapporto basato sulla fiducia e sulla stima reciproche. Questo Alfredo, il nuovo garzone, invece, non l’avevo mai visto né sentito. Con un non so che di misterioso nella voce un po’ roca e con il suo italiano un po’ incerto mi ha fissato un appuntamento per le tre del pomeriggio. Quando sono arrivato all’officina, in perfetto orario, non c’era nessuno. Dato che il paese in cui vivo è abbastanza bigotto, ho evitato mise particolari, che mi riservo per la città – che di notte, in certe zone e in certi periodi è (un pochino) più evoluta – nel timore di suscitare scandali e di essere gratificato del titolo di frocio senza nemmeno un saluto di buongiorno. Non che l’offesa mi turbi particolarmente, dato che pure essendo un bravo guaglione – come nella nota canzone – un poco ricchione lo sono davvero, anzi tanto, ma come sapete dal mio diario elettronico, care amiche, sto attraversando una fase di castità e questi gorillazzi dei miei compaesani facilmente passano dagli apprezzamenti verbali a quelli carnali. In poche parole non volevo ritrovarmi all’improvviso in un viottolo di campagna con la bocca e il culo occupati da carni di non mio gradimento e magari con qualche orribile chiazza violacea sulla mia pelle così delicata e bianca, immagine esterna della mia purezza interiore attuale oltre che del principio di anoressia causatomi da una dieta forse troppo radicale. Questi tarpani semianalfabeti non vanno tanto per il sottile e dato che sono repressi perché le loro compaesane non la mollano facilmente – perché qui la verginità è ancora un valore, ci credereste? – sono alquanto grossolani quando devono dare uno sfogo ai loro bassi istinti. In poche parole la vostra affezionata Syd si è vestita da maschietto, in maniera abbastanza anonima: due stivali senza ghirigori, molto Brokeback Mountain, un paio di jeans alti, in modo che non si vedesse la rosa blu che mi sono fatta tatuare sul mio sederino di burro, integri e senza nemmeno uno strappo, una cintura poco appariscente, una camicia bianca con sbuffi pochissimo vaporosi sulle maniche per spezzare un po’ la rudezza country & western, un gilè, un solo orecchino, un brillantino piccolissimo quasi invisibile, niente piercing esterni, solo quello sulla lingua e sul capezzolo sinistro e infine un foulardino a tono con gli stivali. Mi sono portata anche un cappottino, ma non l’ho indossato perché non faceva particolarmente freddo e oggi mi sentivo già tutta primavera (anche se manca ancora qualche settimana). Per il resto niente trucco, sono andata acqua e sapone, limitandomi a raccogliere i miei lunghi capelli corvini in un severo codino. Mi sentivo una specie di giglio un po’ austero che cercava di mimetizzarsi tra i fiori sporchi che crescono sull’asfalto, una stella ormai implosa che per un residuo di vanità lancia al mondo i suoi ultimi bagliori, un po’ patetici e con un fascino vagamente crepuscolare. Arrivato all’officina sono sceso dalla macchina senza scosciare e, lo giuro, mi sono avviato all’interno evitando con tutte le mie forze di sculettare, tenendo le mani e le braccia distese virilmente lungo i fianchi. Il ragazzo era nell’abitacolo di un fuoristrada che riparava nonsoché, e nonostante la tuta da lavoro gli si vedevano benissimo il culetto sodo e due cosce niente male, perché era seduto in ginocchio sul sediolino a fianco del posto di guida. Ho detto: “Buon giorno!”, in modo secco e senza scheccare sulle vocali. Il cafone non mi ha nemmeno risposto. Dopo lunghi secondi d’attesa in cui cominciavo a pensare che non si fosse nemmeno accorto della mia presenza, tanto che in un momento di follia per farmi notare stavo pensando di sfiorargli leggermente il culo, l’unica parte del suo corpo che sporgeva dall’abitacolo a parte i piedi, il tipo si gira e ho un’epifania: non era un giovane puledro, costui che mi guardava in modo interrogativo, atteggiando le labbra a un sorriso insolente come se una marchetta gli fosse piombata gratis dal cielo in mezzo alle cosce; era una specie di demone! Uno di quelle creature infernali che si trovano solo nei paradisi popolati da diavoli come la mia terra. Doveva avere al massimo una ventina d’anni ed era di quella tipologia maschia in cui l’imperfezione diventa canone estetico e la carne parla un linguaggio che fa vibrare le mie corde più nascoste senza che possa averne il minimo controllo. I capelli molto corti, le orecchie leggermente appuntite e ben attaccate alle tempie con un che di goticamente perverso, il naso aquilino come un cameo tra gli zigomi sporgenti, aveva però questi denti bianchissimi che spiccavano tra due labbra, piene, carnose, come un frutto esotico la cui dolce polpa non sazia mai. E quegli occhi color terra che mi fissavano arroganti e furbi, con una luce un po’ maligna… Tuttavia devo dire che nel complesso non era proprio il mio tipo, voglio dire fisicamente, ma ormai non bado più alle apparenze secondo gli scriteriati luoghi comuni e ho una visione molto personale della bellezza. Era anche sporco e aveva chissà che odore sotto, ma credo che le pulsazioni del mio cuore siano cominciate ad aumentare progressivamente appena i nostri sguardi si sono incrociati. Ha preso un’arancia posata sul cruscotto, l’ha sbucciata fissandomi, ne ha staccato uno spicchio e sempre guardandomi ha cominciato a mangiarla.
– Sono venuto per farmi mettere le casse nella macchina. Hai preso solo quelle davanti o anche quelle di dietro, volevo dire… (imbarazzata, ogni parola, ogni verbo mi sembrano perdere innocenza di fronte a questo individuo, la cui arroganza mi turba profondamente) mi metti solo ehm quelle anteriori o anche quelle posteriori? –
– Te lo metto davanti e di dietro – mi ha risposto con un sorriso insinuante.
– Cosa? Credo di non aver capito co… –
– Scostati – mi fa, accompagnando l’imperativo con un gesto rozzo della mano, e continuando a sorridere in modo insinuante esce dall’abitacolo. Mi rendo conto che è più alto di quanto mi aspettassi, e sento il suo profumo d’arancio misto al lezzo di grasso e olio dell’officina. Un filo sottilissimo della polpa del frutto gli pende ad un angolo delle labbra. Vorrei pulirglielo con la lingua, ma mi fa un po’ paura, ora che è in piedi e noto che è addirittura più alto di me, che pure non sono bassina, e ha un paio di spalle più larghe del mio guardaroba invernale. Mi giro e mi avvio verso la mia macchina, precedendolo. Qui non sono sicura di come mi sia mossa. In genere quando sono emozionata la mia frociaggine erompe spontanea quanto più è stata repressa, cosicché non sono certa che in quei pochi metri in cui ho camminato con lui dietro non abbia fatto un po’ la fotomodella del suburbio. Forse è stato lì il mio errore, non sono riuscito a essere me stesso, ma soltanto me stessa… Comunque arrivata alla mia macchina, entro nell’abitacolo per prendere dalla cassetta del cruscotto il frontalino dello stereo che presumo gli debba servire per verificare la funzionalità delle casse, una volta che le abbia installate, e all’improvviso sento dietro qualcosa di duro. Da non credere, si è messo dietro di me, tangibilmente eccitato, e mi struscia il ventre sul fondoschiena!
– Scusami, vorrei uscire da qui, volevo prendere solo il frontalino dello stereo…
– Non ti muovere l’ho visto – e continua a strusciarsi. Ma che stronzo, penso fra me divertita e ormai partita persa per la tangente frocia e dimentica dei fioretti, di Sodoma e di padre Licio. Mi sincronizzo con il movimento del suo ventre fingendo di essere infastidita. Il linguaggio del mio culo ufficialmente vuole comunicare una via d’uscita, ma lo comunica in modo poco convincente, come una serratura che cerchi di disfarsi del chiavistello che la vuole aprire. Una missione impossibile che non può che favorire la sua apertura.
– L’ho visto – ripete.
– E io lo sento – gli rispondo, fingendo di essere un po’ incollerita e sfumando in un gemito da Elena di Troia la vocale finale; – lo sentooooh – ripeto. Sono curiosa di vedere il contenuto della faretra di questo Paride di periferia che mi sta rapendo alla mia castità.
– Ma che c’hai, una chiave inglese nei pantaloni? Mi fai uscire, sto scomodo! (in realtà sono già eccitatissima ma non gli voglio dare soddisfazione)
– Aspetta, fammi vedere più meglio –
– (Oddio, non avrà studiato a Oxford ma con la mazza che si ritrova può arrivare in America, secondo me.) Tesoro, non sono una cagnetta in calore che ha sedotto un pastore tedesco in astinenza da tre anni! Perché mi monti in modo così…cinico? --
– Ma quale cinema, mo’ facciamo vero altro che film…
Ammetto che il mio doppiosenso è stato un po’ infelice, visto il mio interlocutore, ma talvolta amo enunciare frasi che capisco soltanto io. Tuttavia più che pensare al filosofo Diogene in quel momento pensavo davvero ai cani che si accoppiano senza pudore. È un altro mio difetto, devo fare sempre la diva, anche in un amplesso improvvisato in cui gioco il ruolo della cagna. In effetti la posizione non è delle migliori, col busto piegato, un braccio sul volante e l’altro poggiato sul sediolino per evitare di inghiottire il freno a mano in seguito alle pressioni di questo mandrillo maleducato. E poi vorrei guardarlo in faccia. Alla fine do una botta con il culetto e lo faccio leggermente sobbalzare. Velocemente mi giro, gli cingo i fianchi e cerco di baciarlo in bocca. Sento il suo alito che sa d’arancio, quando mi dice, voltando la testa:
– No, io ste cose non mi piacciono. –
(Però ti piace tutto il resto, eh, brutto porco). È sempre così, e io che continuo a illudermi sui maschi. La mia parte virginale e permalosa vorrebbe lasciarlo in bianco, ma la mia parte puttanesca ha preso il sopravvento e se non me lo faccio ho un prolasso anale.
– Ti piace solo strusciare il tuo affare sul mio fonodoschiena. E la deontologia professionale dove la mettiamo? – (Oddio, se la metto su questo tono ne esce un trattato di etica del garzone del meccanico, invece dell’amplesso che agogno). Speravo che trovasse una posizione più adatta, ma alle mie parole questa volta è lui a imbarazzarsi. Gli metto il frontalino in mano fissandolo e una vampata di rossore gli colora il viso – dopotutto è così giovane! – e diventa ancora più intensa quando getto un’occhiata distratta da zoccola professionista all’altezza del cavallo della tuta, gonfiato in maniera innaturale da una protuberanza che sembra molto rigida. La mia voglia è stata risvegliata ed esplode sfacciata tutta la mia bucaggine. Temendo che per l’improvvisa timidezza si tiri indietro (e non lo tiri più su) gli tocco delicatamente il bozzo con il pollice e l’indice, e sorridendo in modo mignottesco gli dico:
– Ma che c’hai qui? Era questa la cosa dura che sentivo dietro? Pensavo fosse la chiave inglese (e nel pronunciare la “l” la mia lingua sembra l’interno di un frullatore). Sei proprio un mascalzoncello! Ma che intenzioni avevi? – e intanto continuo a stuzzicargli il membro dall’esterno della tuta, sempre con le due dita.
– Ti piace? – fa lui.
(No, sono solo curioso dell’anatomia maschile e la sto studiando: il cazzo, questo oggetto misterioso)
– Ce l’hai sempre così duro? –
– Lo vuoi vedere? –
(No, tienilo nascosto, potrei spaventarmi, sono più pudica di una suora in clausura)
– Caccialo tutto fuori, lo voglio assaggiare! – ( la mia troiaggine ormai non ha più limiti, caccio la lingua da fuori con un guizzo di serpe vogliosa che lascia intravedere bene il piercing e la sua promessa di metallica voluttà; noto che le sue pupille si dilatano per la meraviglia, per un attimo avrà pregustato la delizia del suo membro sottoposto al trattamento speciale che ho intenzione di fargli nella mia bocca; non mi farò nemmeno pagare perché è un fuoriprogramma e sono tremendamente eccitata da questo buzzurro. Al limite risparmierò sulla mano d’opera. La forma mentis marchettara è una mia seconda natura, quando faccio sesso collego automaticamente l’atto a una possibilità di guadagno. Non sono più una conversa, sono di nuovo Syd la perversa che la lunga astinenza ha trasformato in una strega libidinosa).
– Aspetta qui ci possono guardare. Vieni… – .
Mi precede verso il lato opposto dell’officina dove c’è un piccolo bagno con una tazza e un lavandino. Con una mano si tocca sulla patta come per saggiare incredulo lui stesso la durezza del suo membro eccitato. Con l’altra mi strattona come se fossi una bambola gonfiabile con cui divertirsi spensierato. Sono questi i tipi di cui purtroppo mi innamoro, e in questa tara psichica si rivela l’inanità della mia intelligenza emozionale, il cui quoziente deve essere prossimo a quello di una vacca con la leucoencefalopatia spongiforme che si innamora di un albero; e insieme a essa si rivela anche la mia triste sorte di squallida lavatrice delle voglie dei maschi più bastardi che mi cerco con il lanternino.
La latrina in cui il mio carnefice mi conduce per lo stereotipato e dolcissimo martirio ha delle strisce e delle macchie di grasso per terra. È illuminata da una lampadina attaccata direttamente al filo che fuoriesce dalla soffitta. Un odore di candeggina, simile a quello dello sperma, promana dalle mattonelle delle pareti e da tutto il piccolo ambiente, che non ha nemmeno una finestra, solo un piccolo buco in alto chiuso da un vetro opaco dal quale non filtra luce perché probabilmente dà su un’altra stanza. Che squallore, io che per me sognavo d’ora in poi solo amplessi in morbidi, grandi letti matrimoniali ad acqua, sommersa da petali di rose, con il mio fedelissimo principe azzurro…
– No, guarda, qua a terra non mi metto in ginocchio… –
– Non ti preoccupare – . Lesto il giovane mandrillo sale sulla tazza, si cala la tuta e le mutande (sono candide e sembrano contenere con sofferenza il suo pene) fino alle caviglie e mi ritrovo il suo coso in bocca. Sento un sapore aspro e un odore come di formaggio, il che mi indica il livello già molto avanzato della sua eccitazione. Allora dapprima gli do due tre ciucciate profonde spingendomelo tutto in gola quasi fino alle corde vocali. Tanto non ho bisogno di cantare ora, lo farò quando il mio sedere danzerà seguendo la melodia del suo flauto di carne. Devo dire che non è niente male. Anche se io li preferisco circoncisi, le dimensioni sono soddisfacenti. La lunghezza non è eccezionale, ma la larghezza è notevole, e il glande, ora che l’ho completamente scoperto, anche se un po’ sporco, mi sembra più che adatto alla mia circonferenza posteriore. Con le mani gli cingo i fianchi e poi gli metto un dito in culo abbastanza in profondità; questo è etero 100x100, è giovane ed è d’uopo perciò placare la sua eccitazione, prima che mi sborri sulle orecchie in un nano secondo; visto che ci sono ricaduta e non potrò aspettarmi chissà che performance erotica da questo inibito mezzo vergine, almeno voglio godermelo dietro per benino, altro che due botte in bocca e via. Come supponevo il ragazzo si irrigidisce per l’inaspettata penetrazione. Per non spaventarlo completamente ora gli titillo solo l’esterno dell’ano, ma lo sento in difficoltà, il membro mi si ammorbidisce sulla lingua; mi scosta la mano rudemente.
– No, così non mi piace, succhia e basta! –
Obbedisco, ma non resisto alla tentazione di odorare ciò che si è depositato sul mio dito curioso che ha sondato per qualche secondo la sua più intima profondità. Ah, che dolce profumo, mi piacerebbe leccarlo tutto lì. Glielo riprendo in bocca ma per non farlo venire subito dopo qualche stantuffamento lo risputo fuori e lo masturbo con le mani. Poi gli dico:
– Non hai capito, lo voglio tutto dentro, tutto nel mio culo! –
Glielo prendo di nuovo in bocca e glielo mordicchio fin quando emette un forte gemito. Allora scosta la mia testa dalle sue cosce pelose, mantenendosi alle mie spalle scende dalla tazza, e io assecondando le sue intenzioni al volo mi giro verso il lavandino e mi calo i jeans e le mutandine. Lui si sputa sulle mani, mi inumidisce il buco e comincia a spingere, dopo avermi sfiorato il pisello con le mani ( e certo che ce l’ho pure io il cazzo, cosa pensavi di trovare, una ciambella? Ma questo cos’è un tentativo patetico di masturbazione o una curiosità infantile per il corpo di un trav che non hai mai provato? Ma falla finita e scopami, tanto non ci sai fare!). Come se mi avesse letto nel pensiero lascia il mio cazzo al suo destino (come sempre le mie mani) e mi penetra
con giovanile foga. A un certo punto mi tira anche la coda (ma chi si crede di essere Rocco Siffredi?) e poco dopo mi sento tutta bagnata sulla schiena. Lo stronzetto è venuto prestissimo, e a me ce ne vuole ancora; gli chiedo di mettermi tre dita nel culo mentre continuo a masturbarmi per venire. Ma non ci sa fare, è come se stesse facendo un clistere a una gallina che non va’ di corpo; allora mi giro, gli prendo in bocca il coso ormai rimpicciolito ma ancora umido e glielo pulisco con la lingua. Poi ricomincio a ciucciare e quando sento che si sta indurendo di nuovo ho finalmente il mio orgasmo.
Non è stata una grande scopata, ma in cambio mi ha montato le casse gratis, come speravo. Senza dire una parola.
Bella consolazione: facendo un bilancio morale, mi è bastata una banale commissione per ritornare più puttana che mai. L’unica scusante è che non è stata completamente colpa mia, è stato lui a cominciare; certo che non è stato difficile sedurmi! Ma se mi si strusciano dietro come faccio a resistere? Sono fatta di carne anch’io, non sono un angelo e forse non lo diventerò mai, sono solo una material girl in a material world. Ed era qualche settimana che non provavo le gioie del sesso. Ma che gioie e gioie in realtà non mi sono nemmeno divertita, è stato molto squallido. Senza nemmeno il condom; fortunatamente ha avuto l’accortezza di venirmi sul fondoschiena e non dentro.
Cosa dirò domani a padre Licio? – pensavo, mentre mi avviavo a casa. E sporca e piena di peccato un’improvvisa tristezza è diventato il mio vestito per tutto il viaggio di ritorno. La radio suonava Purple rain di Prince.
Ecco che sono di nuovo una peccatrice irredenta, dunque. Che sarà di me? Riuscirò mai a cambiare? Mi vergogno tanto.