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sabato, ottobre 22, 2005

 

I RAGAZZI NAPOLETANI SONO I PIU' SAPORITI D'ITALIA (racconto gay) di SYD VICIOUS

Vi suggerisco di leggere questo racconto dall'inizio alla fine, anche se vi sembrerà un po' lento dal punto di vistadell'erotismo. Se volete godere a pieno dell'esplosione finale del piacere dovete seguirne il ritmo che costruisce a poco a poco la rivelazione di un piacere sublime...

Il vostro Syd Vicious


Avevo una serie di faccende da sbrigare nel centro storico quella mattina di giovedì scorso. Non avrei mai immaginato il risvolto erotico che avrebbe caratterizzato il resto della giornata. Mi ero alzato alle 7 e 30, già innervosito per la sveglia di buon’ora dopo una notte trascorsa in buona parte a chattare, nella speranza di conoscere nuovi amici; sono già quattro mesi che sono single dopo una breve storia che ha avuto il solo merito di riattizzare le mie voglie sessuali, dopo che mi ero ripromesso di trascorrere un periodo di sana castità, sfociato ignominiosamente in una sequela di seghe vertiginose guardando gli splendidi stalloni che mostrano i loro attributi free sulla rete; non uscivo più di casa se non per le necessità fondamentali, vale a dire la spesa e il barbiere una volta alla settimana. Dopo essermi licenziato dal lavoro part-time che svolgevo presso un anziano e laido rigattiere, che si mostrava più interessato a toccarmi le cosce che a svolgere i suoi miseri affari, avevo deciso di farmi sfruttare da un’agenzia pubblicitaria. Infatti, malgrado la mia laurea, non si trattava di un lavoro prestigioso: dovevo distribuire volantini per la strada. Lavoro sempre part-time, prospettive per il futuro zero; era solo per tirare avanti nell’attesa di giorni migliori, quelli in cui sarei riuscito a piazzare presso qualche produttore "sensibile" il porno casalingo che avevo girato con mezzi di fortuna, il quale aveva come star un nigeriano del Casertano che si era stufato di fare lo stagionale come raccoglitore di frutta. Secondo me si trattava di un buon film, anche se di genere etero. Avevo fatto tutto io, avevo scritto persino la sceneggiatura, incentrata sulla storia di questa casalinga che vive con un anziano marito contadino, in un rustico immerso nella campagna, e questo mandingo che dà una mano di giorno al marito nella terra e il cazzo alla moglie di notte nel fienile. Il magnifico membro del nero era appropriato al genere cinematografico, e le troppe inquadrature che gli avevo dedicato stavano modificando il soggetto del film, che avrebbe dovuto intitolarsi “Schiavo superdotato per padrona vogliosa”, in un’opera che sarebbe stato più opportuno chiamare “Il pene delle meraviglie”… Ma sto divagando e non voglio annoiarvi con le mie velleità artistiche; e alla fine avevo imparato a conoscere quel pene così bene, inquadrandolo in tutte le posizioni e utilizzazioni, che mi aveva anche un po' nauseato. Oltretutto non ci fu possibilità di andare al di là dei rapporti professionali perché l’attore era abbastanza limitato: sosteneva che gli piaceva solo la fica; poverino, non sapeva cosa si perdeva!
Dunque, dopo queste vicissitudini artistiche, peraltro senza riscontri economici, mi ero dedicato al volantinaggio per guadagnarmi il pane quotidiano. E quella mattina mi recavo nella mia postazione al centro storico, nel cuore di Napoli. Zona di studenti universitari e di borghesia media e medio-alta mischiata con proletari (come solo a Napoli), qualche immigrato, parecchi fuorisede, molti turisti stranieri e allegre scolaresche in visita per la città. Ripensandoci ora, già all’uscita della metropolitana qualcosa doveva aver solleticato il mio sub-cosciente, perché avevo intravisto questo ambiguo manifesto di un bel ragazzo, sicuramente del posto, con lo sguardo torvo, un numero della tombola in mano e sotto la scritta ambigua “ ‘o cazone”, che per somiglianza fonetica mi aveva immediatamente fatto pensare a un membro di dimensioni abnormi (un cazzone!). In effetti in napoletano con il termine "cazone" si designano semplicemente i pantaloni, tuttavia bastava una zeta in più per immaginare qualcosa di ben più interessante: il tesoro che possiedono tutti i maschietti, che fin quando è avvolto nella stoffa dei jeans ed è imbracato nelle mutande, è soffuso di mistero; confesso che sovente, con circospezione, il mio sguardo cerca di indovinarne forme, dimensioni e movimenti nel gioco delle pieghe dei pantaloni, e quando un ragazzo si tocca lì spensieratamente, abitudine inveterata in questi luoghi, gesto strafottente e allo stesso tempo apotropaico eseguito con non so che stoica indifferenza, un brivido di emozione mi scende dalla nuca, attraverso la spina dorsale, fino al bacino.
Per questo amo passeggiare per le strade di Napoli. E poi come ti guardano i ragazzi napoletani non ti guarda nessuno! Sguardi che possono essere di curiosità, di interesse, di vorrei ma non posso, sguardi mariuoli, sguardi che affatturano, sguardi di figli di puttana, sguardi che ti fanno immaginare tutto e il contrario di tutto perché, anche se tra sconosciuti, semplicemente camminando ci si lancia queste occhiate che durano molto più di semplici occhiate, come dire, di convenienza. È una specie di saluto che fa parte della nostra educazione ancestrale e uno sconosciuto incontrato per caso che non ci guarda negli occhi lo riteniamo un maleducato e un infido.
E vogliamo parlare della bellezza di questi ragazzi, che non hanno bisogno di palestre per i loro corpi naturalmente flessuosi e seducenti? Le loro andature provocanti, il loro muovere le mani, i loro sorrisi, il loro gesticolare, le tonalità vivaci della lingua natìa talvolta capace di eccitarti solo con il suono delle parole… purtroppo queste autoctone virtù si stanno perdendo con la colonizzazione. I modelli di riferimento diventano sempre più gli squallidi settentrionali, i quali a loro volta sono stati colonizzati dagli Americani, specialmente tra le classi più alte. Tuttavia, anche in queste classi, non è raro trovare a Napoli ragazzi che curano il loro aspetto secondo criteri metrosexual senza perdere quella spontaneità “popolare” che fa parte del loro dna; lo si vede dagli occhi che conservano vivissimi a differenza di coetanei di altre città che sembrano statue che sfilano con lo sguardo perso chissà dove, come zombie privi di personalità che spiccano al massimo in un asettica fotografia, nella quale però si perdono espressioni, odori, profumi, emozioni. Questo tipo di ragazzo napoletano, anche se presente un po’ in tutta la città, sembra prevalente nel centro storico, forse perché vi è una grande concentrazione di scuole superiori e di università, dove si mischia con altri esemplari normali e ragazzi "del popolo". Quella mattina di giovedì ero molto stanco: avevo fatto fatica a sbarazzarmi di tutti i volantini, ai quali nessuno sembrava interessato; il clima era cubano, un caldo umido con scrosci improvvisi di pioggia che rendeva tutti nervosi e scostanti. Si era fatta ora di pranzo e decisi di rifocillarmi in una rinomata pizzeria con una semplice e gustosa margherita per riconciliarmi con me stesso e con la città inusualmente distratta; nella pizzeria oltre a me c’erano solo due ragazzi e una ragazza, una piccola comitiva che giudicavo dovesse essere composta di matricole di qualche facoltà scientifica, in base ai loro discorsi e ai libri gettati sul desco aggettante il muro, sul quale con pochi euro potevi gustarti qualcosa di buono e una bibita senza pagare il servizio, osservando a un paio di metri di distanza la preparazione e la cottura a forno della stessa. La margherita è un cibo geniale e afrodisiaco: pochi ingredienti compongono una pietanza che ti seduce per la forma e la composizione e ti risolve il problema del pranzo o della cena: la mozzarella di bufala filante come sperma condensato e lascivo, la polpa di pomodoro come sangue raggrumato e profumato, la pasta tenera come la carne di un adolescente: è senz’altro il cibo degli dei e uno degli elementi che contribuisce alla nobiltà del nostro popolo. Mentre attendevo impaziente la cottura, era entrata un’altra ragazza della piccola comitiva, ma non c’era posto per lei vicino ai compagni perché io avevo occupato l’unico disponibile. La consumazione che aveva ordinato era già pronta, sicché con un gesto di stizza si era spostata dall’altro lato del muro dove c’erano un paio di posti vuoti. Uno dei ragazzi della comitiva aveva attratto subito il mio interesse: splendido esemplare di giovane napoletano, indossava un paio di jeans sdruciti, una cintura very metrosexual con una borchia molto particolare che rappresentava una specie di serpente con spire flessuose, una maglietta colorata di gusto pop, scarpe nere e lucidissime tipo Hogan. I capelli erano costruti con la gelatina in uno stile postpunk, la loro nera selvatichezza era stata ordinata con la gelatina in una composizione streetlife. E al lobo sinistro, un orecchino costituito da una sottile spilla che trafiggeva un piccolo disco completava il suo look sensuale e giovanile. Mi innamorai subito dei suoi occhio castani striati di verde, della sua voce irridente e scanzonata; sfotteva una bionda che corteggiava con nonchalance, mentre l’amico sembrava il tipico chiattillo da tappezzeria, un tipo insignificante con lo sguardo da persona studiosa e un paio di occhiali che già lo facevano futuro biologo o pressappoco. Quella che con un gesto di stizza si era avviato verso l’altro posto disponibile doveva essere una lesbica. Aveva i capelli rasati a zero, modi virili e carattere scostante. Ad ogni modo mi dispiaceva guastare l’armonia del gruppetto e spontaneamente mi offersi di cambiare di posto in modo che i quattro amici potessero stare insieme. Dapprima sembrarono non capire, dato che la gentilezza è merce rara in questi giorni cinici; poi mi ringraziarono con ampi sorrisi che esaltavano i denti bianchissimi e si profusero in “grazie”. Quello che mi piaceva esclamò: - Simpatico, eh? - o qualcosa del genere, quando mi allontanai. Con la mia proposta mi ero rivolto direttamente a lui, che stravaccato su uno sgabello con le cosce aperte e poggiato con le spalle al desco sembrava essere molto a suo agio. Avevo anche le mie ragioni, per il comportamento gentile. Certo rinunciavo a contemplare di sottecchi il mio Luca, così avevo sentito che lo chiamavano, ma in realtà me lo ingraziavo per il momento in cui con qualche stratagemma avrei approfondito la conoscenza di un tipo così interessante. Intanto ascoltavo con vivo interesse, ma senza dare nell’occhio, la loro conversazione e contemporaneamente gustavo la mia margherita. Finito di mangiare andai fuori a fumare una sigaretta e a pensare un modo per attaccare discorso. Non ce ne fu bisogno. Fu lo stesso Luca che mi rivolse la parola chiedendomi una sigaretta.
- Ma non ti sembra di esagerare?- rispondo con tono scontroso temperato da un sorriso di gioia che a malapena dissimulavo
- Che vuoi dire? –
- Beh, prima cedo il posto alla tua ragazza, poi ti faccio da tabaccheria ambulante…
- Ma chi, Elena? Ah, ah… lei è lesbica. No, io al limite corteggio quell’altra, Alessandra - e tira un po’ pensieroso una boccata di fumo.
- Spero per te con esiti positivi.
- Tutt’altro, è tutta presa dai crediti, gli esami, quel rattuso del professore di biologia che si scoperebbe volentieri pur di superare la prova. E parla solo di obiettivi, carriera, futuro…
- Una tipica ragazza di oggi. Sai, anch’io sono stato iscritto a biologia (che bugiardo) poi ho scelto una facoltà umanistica perché ho deciso di fare quello che mi piaceva.
- Figurati, io volevo fare cinema.
- Come attore? (noto che gli occhi gli brillano un po’ di narcisistica soddisfazione)
- Ma no, come regista o sceneggiatore… perché mi vedi attore?
Ma scherzi? stavo per rispondergli… con questi occhi così belli e con questo fisico… ma fortunatamente arrivano gli altri e mi salvano dall’esaltazione della sua bellezza che mi avrebbe subito sgamato.
Mi presenta agli altri e mi dice che loro stanno andando in piazza, se mi va di accompagnarli, io dico che faccio la stessa strada perché devo prendere la metropolitana. Nel frattempo penso alle nostre mani che si sono sfiorate mentre gli accendevo la sigaretta, al modo con cui mi ha toccato il braccio mentre parlava e a quell’unico brufolo sul lato destro del collo che vorrei far scoppiare chissà perché tra le mie dita.
Insomma, per non portarla a lunga, abbiamo preso insieme la metropolitana. Lui doveva scendere a Piazza V., l’altro amico era sceso alla fermata prima, mentre le due ragazze abitavano in centro e se la sono fatta a piedi. Io mi invento che devo scendere a Piazza V. perché devo comprare dei floppy vergini per il pc, lui mi dice che ha la macchina e visto che abito nelle vicinanze si offre di accompagnarmi. Mentre ci prepariamo a scendere siamo circondati di persone. C’è ressa e poco spazio. Luca è dietro di me e avverto qualcosa di solido dietro le mie natiche. Non riesco a capire se sono i sussulti della metropolitana o è lui che si struscia. Finalmente scendiamo e noto che si avvolge la giacca leggera che aveva tenuto in mano tutto il tempo attorno ai fianchi, coprendo la zona strategica. Io lascio cadere una moneta per terra e nel raccoglierla con il gomito lo sfioro in mezzo alle gambe. Resta immobile con uno sguardo imbambolato. Proseguiamo come se niente fosse. Succede nel parcheggio della metropolitana. Cominciamo a parlare e noto con piacere che non si decide a mettere in moto la macchina. Ad un certo punto non ce la faccio più e gli dico se gli posso schiattare il brufoletto. Lui acconsente e non avete idea di quanto liquido bianco schizzi e con che impeto. Lo pulisco con un fazzolettino dicendogli che mi piace molto il suo orecchino e se glielo posso sfilare. Acconsente ancora una volta e a toccargli il lobo mi eccito ancora di più. Grande imbarazzo, lui non parla più. Audace gli metto un dito nell’orecchio. Il profumo che ha addosso è senz’altro Hugo Boss. Mi dice con una faccia strana:
- Ma che stai facendo, dài andiamo… facciamo tardi!
Allora prendo coraggio, capisco che non è gay ma è eccitato lo stesso ed è disponibile; gli strizzo il pisello duro da sopra i pantaloni.
- Mi fai male - fa lui tutto serio.
- Dove? - faccio io,
continuando a carezzarlo dolcemente. Capisco che sarà completamente passivo e non prenderà alcuna iniziativa, ma mi piace così tanto che voglio farlo venire nella mia bocca per assaggiare il dolce sapore del suo sperma.
- Qui ti fa male?
E gli massaggio lentamente l’uccello che sento durissimo sotto le dita. Sento che il suo respiro aumenta e una vampata di rossore ed eccitazione gli colora il giovane viso.
- Perché non ti sbottoni i pantaloni, così vediamo meglio dov’è il problema? -
È completamente muto ma mi lascia fare e dire tutto. Sempre continuando a masturbarlo a secco gli dico:
- Sai, ho una voglia matta di leccarti dietro. La tua ragazza non ti ha mai leccato lì? Guarda che è bellissimo! Però dobbiamo cercare una buona posizione, nella macchina è impossibile.
Lo conduco nello stanzino del parcheggio dove sono conservate scope e secchi. Non c’è molta luce e questo forse lo disinibisce:
- Prendimelo in bocca, dài - mi esorta con voce bassa e spingendo la mia testa verso il basso. Quando mi accovaccio si sbottona i jeans. Indossa un paio di slip neri molto deformati davanti a causa dell’erezione e fuori fa capolino il glande che mi sembra una castagna odorosa. Gli do una leccata e mi rendo conto che è già umido di liquido prespermatico all'amaro sapore di caffè. Per non venire subito decido di cambiare strategia e lo faccio voltare.
- Aspetta, ti voglio fare una cosa che ti farà impazzire di piacere.
Ora c'ho la sua schiena davanti e gli abbasso gli slip da dietro, mentre dal lato genitale sono sostenuti ancora dall’erezione del suo membro a malapena coperta. È abbastanza pulito, e l’odore del suo muco anale è come di panna fermentata. Comincio piano piano a lambire il solco con la punta della lingua. Con la luce dello schermo del cellulare illumino il buchetto, ma non riesco a distinguere la coroncina rosacea. Vorrei vedere in piena luce le contrazioni di piacere che lo stringono e lo allargano come una rosa sensuale che sboccia a intermittenza inebriandomi del suo profumo virile. È dolcissimo e gode da matti, ma è ancora un po’ teso, lo avverto dalla rigidezza delle gambe. Tra le narici del mio naso sento i suoi peli e il loro profumo, deve usare un sapone al limone per le pulizie intime. Il solco anale è ora completamente bagnato e la mia lingua che vi sguazza comincia a fare dei rumori osceni, come se stessi leccando goloso un gelato. Poi sento un sapore nuovo, diverso da quello della mia saliva. È il lubrificante naturale delle sue ghiandole anali che rende l’organo pronto ad essere penetrato. Le contrazioni del buco sono così frequenti e violente che sembra voglia inghiottire la mia lingua sapiente. Ora non riesce a trattenere i gemiti di piacere, ma io dolcemente lo zittisco, ricordandogli che dopotutto siamo in un parcheggio pubblico.
- Aaaagh, non pensavo fosse così bello, ti prego continua così è una sensazione fantastica…
Gli etero purtroppo non sono consapevoli delle risorse di piacere insite nei loro organi. Il piacere che può procurare una persona del loro stesso sesso, che conosce il corpo maschile sempre meglio di ogni femmina e meglio di queste sempre ne può godere è a loro sconosciuto. Anche un pompino fatto da un maschio è un opera d’arte rispetto all’artigianato più onesto della migliore professionista. Questo succede perché le donne non hanno mai un culto del fallo come i gay, esse al massimo possono manipolarlo per procurare facili piaceri, ma non il godimento sublime dato da chi il pene lo adora come se fosse una parte di sé. Gli infilo dolcemente il dito da dietro, ma ho osato troppo per quello che deve essere la sua prima esperienza omo. Si irrigidisce perché ho violato il sacro santuario, l’oggetto proibito di ogni virilità. Anche se il buco continua a contrarsi dimostrando di apprezzare molto l’indolorosa e piacevolissima penetrazione, simile alla sensazione che si prova quando si fa una buona cacata, razionalmente non è ancora pronto per questo tipo di piacere. La mia esperienza mi suggerisce che sono andato fin troppo in là per questo primo incontro, e che ce ne vorranno altri per disinibirlo totalmente dai pregiudizi che gli hanno inculcato sin dall’infanzia. Credo che dipenda dalla presenza di un altro pene, il mio. Se fossi stato una donna sarebbe stato più accondiscendente, essendo una donna priva di organi che possano attentare, come a torto presume, alla sua virilità. E priva dello strumento che può dare il piacere più sublime, il godimento anale e il relativo orgasmo anale, che per ogni etero sarà sempre misterioso e costituirà l’invidia inconscia che hanno per i gay che lo provano. Intanto ho la faccia piena dei suoi umori, dopo un po’ di su e giù con il dito medio lui si gira all’improvviso e mi sbatte in faccia il suo glande umido. Capisco che il massimo che può concedermi è ora il suo cazzo pulsante attraversato da contrazioni spasmodiche. Gli abbasso gli slip anche davanti e riesco a distinguerne la sagoma scura. Accendo di nuovo lo schermo del cellulare e lo osservo meglio. Il gioco sembra eccitarlo. Lo impugno e lo libero completamente dal prepuzio, di modo che il glande si scopra completamente. È un arnese caldissimo che sarà lungo almeno 19 cm, in media un centimetro per ogni anno della sua età.
- Complimenti! - gli dico.
Gli soppeso delicatamente i testicoli gonfi del liquido degli dei, sembrano in ebollizione. Glielo prendo in bocca cercando di portarlo all’interno della mia gola con movimenti lenti e ritmici. Ogni volta che lo caccio fuori, ma mai completamente, lo avvolgo con un veloce movimento della lingua guizzante come serpe. Sento il suo sapore e avverto un’odore di primavera. Capisco che sta per venire. Allora con una mano gli stringo dolcemente i testicoli, con l’altra gli infilo a tradimento il medio nel buco ancora umido dandogli un sussulto di piacere mai provato, e con la bocca inghiotto solo la punta del membro slinguettando velocissimo tra il frenulo e il solco prepuziale. Degli schizzi violentissimi sembrano volersi spingere fin dentro il mio stomaco, e continuo a succhiare e a inghiottire tutta la sborra. Mi fido di questo giovane puledro, e non voglio gettare niente di lui, voglio nutrirmi di tutte le sue proteine, voglio incorporare il suo dna.
- Ghaaaaaaah – esclama lui inondandomi la bocca e stringendomi fortissimo la testa quasi facendomi male. Sto per perdere l’equilibrio e devo poggiare una mano per terra per non cadere. Con l’altra mi bastano pochi tocchi per venire anch’io senza sporcarlo, di lato, mentre c’ho ancora il suo in bocca il suo membro che si è prosciugato ma che è ancora duro e caldo. Dopo aver assorbito con la lingua gli ultimi rimasugli di sperma non riesco a staccarmi da quel pene magnifico, se non per dirgli:
- Aspetta che te lo pulisco per benino –
Glielo slinguetto con tale perfezione da prolungare il suo orgasmo fino allo sfinimento, sento le sue gambe che stringo fra le mani farsi finalmente molli, come se stesse venendo meno. Dopo quest’ultimo trattamento il suo uccello è più pulito di quando si è lavato. Glielo rimetto nelle mutande, gli sparo il mio numero di telefonino sul cellulare (il suo numero me lo aveva dato in macchina), scappando verso la metropolitana che mi condurrà a casa e lasciandolo lì, nel buio, con i pantaloni ancora abbassati e le sue secrezioni dentro di me. Abbiamo poco da dirci ora, e per le paranoie di coppia bastano già le ragazze che ti fanno pagare un pompino con una overdose di romanticismo. Quando vorrà godere, gratuitamente e senza implicazioni sentimentali saprà come trovarmi. Anche se io ne sono già innamorato.

Syd Vicious

 

MI CHIAMO SERENA (racconto etero) di EROS DIONISI

Sono su una spiaggia assolata del sud, disteso su uno scoglio; il sole mi riscalda la pelle e i muscoli, e dà calore alle mie ossa reduci da un rigido inverno. Lo scoglio è piuttosto piatto, ed è inclinato verso il basso. Le onde del mare mi lambiscono i calcagni e i polpacci con un piacevole movimento di su e giù; la sensazione della spuma e dell’acqua salmastra che carezza i miei piedi è deliziosa. Il sole è abbastanza intenso, e per quanto sia protetto parzialmentealla mia sinistra dall'ombra di una roccia che cade a strapiombo sul mare, sono costretto a tenere gli occhi chiusi per non essere accecato dai barbagli. Con me ho un libro di Omero: ho appena finito di leggere un canto diell’Odissea, e un turbinio di pensieri vortica nella mia mente. Penso ad Ulisse, alle sue splendide avventure nel Mediterraneo, al suo coraggio e alla sua astuzia; terre misteriose, isole incantate, sortilegi di maghe innamorate...cerco di immaginarmi perso nel mare in tempesta con un gruppo di compagni avventurosi, e poi rido di me pensando che i pericoli maggiori in questi tempi mi verrebbero dall’inquinamento, dalle radioattività nascoste...altro che Lotofagi e Scilla e Cariddi; però chissà, forse qualche mostro come quelli dell'antica mitologia greca esiste anche oggi, magari prodotto da una mutazione genetica...Penso alla mia Penelope: Marina, che non è voluta venire in vacanza con me, che ha preferito partire con gli amici del fratello; e un alito di tristezza soffia su di me come un leggero venticello al pensiero di un autunno che si prospetta più melanconico del solito: la nostra storia ormai è al termine, e mai più potrò leccarla tra le gambe, così vicino all’origine del mondo e di tutte le cose, mai più potrò succhiare i capezzoli dei suoi seni turgidi e generosi, mai più la mia lingua potrà provare il sapore delle sue labbra dal gusto di frutto proibito. Mai più potrò scoparmela con foga e sentire la sua calda voce che mi incoraggia: "Sììì, vieni, vienimi dentro amore, ti prego, veniamo insieme..." Il rumore di un elicottero muta il corso dei miei pensieri. Infastidito, cambio posizione; prima mi metto prono, poi di nuovo supino. Vorrei dormire, ma non ci riesco; avrei tanto bisogno di sognare Marina, il suo sguardo da troja che mi faceva arrapare solo ad essere guardato così. E come le piaceva essere chiamata puttana, nell’intimità! Anche se era dolcissima, in fondo: una donna vera... Disteso con il ventre per terra, sento il mio membro che comincia a gonfiarsi; se ci fosse la sabbia scaverei un buco e lo metterei dentro, come facevo da piccolo. Su questo scoglio posso solo sfregarlo delicatamente cercando di non farlo uscire dal costume. Penso a cose orribili per farlo ammosciare, voglio stare di nuovo con la faccia rivolta verso il cielo... ho di nuovo il sole in faccia, il caldo sole che abbronza e purifica... Improvvisamente sento una specie di solletico ai piedi, no, non solletico, una specie di formicolìo piacevole, come quando il piede è stato in una posizione scomoda per lungo tempo e si risveglia dopo essersi addormentato. Vorrei aprire gli occhi, ma qualcosa mi dice di non farlo... poi sento una cosa morbida, calda e bagnata che sembra avvilupparsi attorno alla mia gamba destra e poi attorno alla mia gamba sinistra; penso che sia qualche alga, ma non mi va ancora di aprire gli occhi, non so perché. Infine mi decido ad aprirne uno... no... non è possibile! Una lunga e crespa chioma bionda copre come un dolce vello di freschi peli i miei piedi, e due occhi lucenti di smeraldo mi fissano con una promessa di intensa voluttà. Da dove è uscita questa splendida giovane donna, che con consumata perizia mi succhia l’alluce provocandomi una violenta erezione così che il glande ingrossato, prepotente si spinge fuori dal costume? Fortunatamente non c'è nessuno in questo posto, ma istintivamente non posso fare a meno di guardare a destra e a sinistra, poi riesco appena a dire, con un filo di voce:
"Chi sei?"
"Mi chiamo Serena", risponde lei con molta dolcezza, "rilassati, e non pensare a niente"
Abbassa la testa e riprende a succhiarmi l’alluce, e poi le altre dita dei piedi; non avrei mai pensato che fosse così piacevole, lasciarsi succhiare le dita dei piedi da una donna, da una creatura misteriosa e bellissima poi, come questa Serena, sbucata repentinamente dal mare... avevo notato una ragazza dall’altra parte della scogliera, dove c’è un piccolo spiazzo attraverso il quale si accede sia ai lidi che alle spiagge libere: indossava un’affascinante cappello di paglia e un paio di Rayban scuri; mi aveva colpito molto perché dallo stile e dal portamento ero certo che fosse una di quelle "col sangue blu", una di quelle ricche e viziate che mi affascinano e detesto allo stesso tempo; ma che ci faceva su una spiaggia popolare come questa?, avevo pensato, e non avevo potuto fare a meno di guardare una coscia bianca come neve, nonostante la stagione, dallo spacco di una specie di pareo strano che indossava, mai visto uno simile; il volto non ero riuscito a distinguerlo bene; mi aveva però molto colpito il contrasto tra il candore della pelle, i colori del pareo e il sole caldissimo che l’avrebbe ustionata solo se si fosse esposta per un minuto, con quella pelle così delicata! Di Serena invece riesco a vedere solo lo splendido viso incastonato come una gemma in un ovale perfetto, e questi occhi verdi così espressivi e ammalianti. Il resto del corpo è immerso nell’acqua di mare, e sembra che stia facendo l’amore con un’onda; dopo un po’ non riesco a scorgere nemmeno più il volto, perchè dapprima con i suoi foltissimi capelli dello stesso colore dell’oro mi copre il ventre, e anche il viso; mi inebrio del loro profumo, mentre la sua lingua comincia lentamente a salire sulle gambe, e poi a esplorare l’interno delle cosce. Le prendo la testa fra le mani, ma lei con delicatezza mi fa capire che non vuole essere toccata, così metto le mani per terra, esercitando per il godimento una pressione fortissima. La sua lingua vogliosa mi esplora in ogni punto, mi succhia e mi lecca e mi bacia e mi morde delicatamente; poi con una certa violenza mi abbassa il costume, quasi come se volesse strapparmelo; ho appena il tempo di alzare il bacino, immagino che voglia finalmente prenderlo in bocca, invece riscende giù ; eccitatissimo prendo in mano il mio pene, ma ancora una volta lei vuole che sia assolutamente passivo, così sono costretto a guardare il mio cazzo che vibra di desiderio mentre lei ritorna a giocare con l’alluce; ho letto da qualche parte che questa è una pratica molto in voga in Oriente, ma non l’ho mai sperimentata prima: sembra che ci sia una corrispondenza tra i punti dell'alluce che vengono stimolati e il membro virile.
"Prendimelo in bocca ti prego, sto impazzendo dalla voglia di mettertelo in bocca!" le dico, ma lei non risponde, anzi esercitando con la mano una delicata pressione sul ventre all’altezza dell’ombelico, ritorna a mordicchiarmi l’interno delle cosce. Comincio a sentire come una specie di piacevole vuoto, eppure non ho nessuno stimolo ad eiaculare, è come andare in discesa a fortissima velocità, è sborrare senza sperma, non so come spiegarlo. Finalmente con il pollice e l’indice fa un anello attorno al glande, e lo stringe leccandomi nella zona perineale, tra le palle e il buco del culo; facendo pressione con le mani alzo il bacino per facilitarle il compito, ma lei è costretta a schiudere l’anello di carne con il quale sfregava delicatamente il prepuzio, e a me sembra di sentire il sangue che pulsa fino a scoppiare; ho la sensazione di stare sborrando, ma dal mio cazzo durissimo non esce niente; mi rimetto supino, e lei sorridendo alla mia meraviglia mi riprende il glande tra pollice e indice e comicia a succhiarmi le palle. I suoi movimenti coincidono con quelli del mare e ho l'impressione di essere succhiato dalle onde stesse. Mi vengono in mente i versi di Claudiano: "blanda pericla maris, terror quoque gratus in undis" (i lusinghevoli pericoli del mare e il terrore gradito delle onde). Avrei voglia di ricambiare il sommo godimento che questa donna misteriosa mi sta procurando, vorrei affondare la mia lingua nella sua vagina che immagino calda e pregna di umori; apro gli occhi, ma di lei distinguo a malapena il busto, il mare come un liquido mantello nasconde tutta la parte media e inferiore del suo corpo... mi sembra per un momento di distinguere una sagoma scura sotto l'azzurro, come se sotto di lei ci fosse qualcosa di indipendente che si muove... all'improvvisocon un rapido gesto raccoglie la sua folta chioma dietro le spalle e i suoi splendidi seni mi si rivelano in una epifania di rara bellezza: sono turgidi e caldissimi, con capezzoli molto grandi di un rosso vivissimo. Con un lento movimento ondulatorio comincia a sfregarmi i capezzoli sul ventre, apro di nuovo gli occhi e noto finalmente una parte del corpo che mi era rimasta nascosta alla vista: sembra indossi uno strano costume d'argento, poi un riflesso del sole su questo strano costume mi abbaglia e sono costretto a chiudere gli occhi. Di nuovo ricomincia a succhiare, questa volta con i denti raschia delicatamente il mio pene fin dove la sua gola capace riesce ad inghottirlo, poi con un movimento vorticoso della lingua mi stimola ogni punto del glande, passa e ripassa sul filetto, scopre e ricopre il prepuzio,quindi comincia di nuovo delicatamente a raschiare. Riesco a percepire distintamente il liquido seminale che dallo scroto risale velocemente attraverso l'asta, ma al momento dell'esplosione lei mi tocca un punto tra le cosce e i testicoli e il liquido come spinto da una forza invincibile ridiscende giù, per almeno tre volte; quando esausto, con la voce soffocata dai gemiti la prego di farmi venire, lei, adoperando soltanto le labbra carnose mi succhia la punta del glande, senza usare la lingua... tutte le sensazioni si concentrano sull'estremità superiore della verga e poi parte uno schizzo violentissimo, e un'altro e un'altro ancora come frecce di latte che ho l'impressione le feriscano la gola per la loro violenza... ho la sensazione di urinare, non di sborrare tanto è lo sperma che caccio fuori e lei imperterrita continua a succhiare e ad inghiottire il mio seme, come un'assetata berrebbe in un deserto l'acqua a lungo cercata e finalmente trovata, e inghiotte tutto fino all'ultima goccia e continua a ciucciare anche dopo. In questa estasi interminabile mi sembra di perdere il senso del tempo. Poi il rumore dell'elicottero, quello di prima che evidentemente sta ritornando, mi riscuote e apro gli occhi; lei stacca la bocca dal membro ormai in riposo, e alza il busto così che posso ammirare ancora una volta i suoi splendidi seni; le chiedo:
"Ma chi sei, splendida creatura venuta dal mare? Come hai detto che ti chiami....?"
Un sorriso arcano le schiude le labbra:
"Il mio nome è Serena", mi risponde per la seconda volta ed emerge finalmente dal mare. E'impossibile descrivere la mia meraviglia quando mi rendo conto che un' argentea coda di pesce è ciò che costituisce la parte inferiore del suo corpo, quella che non riuscivo a scorgere. Sono stato scopato da una sirena! Con una capriola all'indietro, l'essere meraviglioso si rituffa nell' acqua da dove è venuto. Quindi riemerge e mi tende la mano invitandomi a seguirla nel mare profondo; sono molto tentato, ma poi mi rendo conto che seguirla significherebbe non ritornare più sulla terraferma; dopo un po', delusa, la sirena si immerge nuovamente nell'acqua e mi sembra di udire un canto straziante che viene da molto lontano... sono sgomento; mi dò un pizzicotto per rendermi conto se sono sveglio o è un sogno... sul costume non ci sono tracce di sperma, ed è ovvio: ha succhiato fino all'ultima goccia... poi guardo l'orologio e mi accorgo che sono passate almeno tre ore.. .il libro dell'Odissea è aperto al mio fianco proprio alla pagina del canto che parla delle sirene... sicuramente deve essere stato un sogno provocatomi dalla lettura del poema, concludo; ma quando mi alzo per sgranchirmi le gambe e rassettarmi il costume, noto un lungo capello biondo come avvinghiato attorno ad un testicolo...

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