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venerdì, ottobre 07, 2005

 

AVVENTURA A NOUAKCHOTT (narrativa erotica/genere omosex) di Syd Vicious

Eros Dionisi diventa in questo sito anche editore, e oltre a riproporre vecchi racconti suoi pubblica anche nuovi talenti. Oggi vi propone SYD Vicious.

Ho sempre amato l’Africa, la madre dalla quale tutti proveniamo. Qualche anno fa decisi di fare un viaggio in Mauritania, per approfondire meglio la conoscenza di un continente del quale avevo solo visto, come molti, le rinomate località turistiche dell’Egitto. Dopo essere atterrato a Marrakesh, con una sorta di taxi raggiunsi Nouakchott percorrendo la strada che congiunge la prima città con Dakar, nel Senegal. E’ lungo questa strada, infatti, che si trova la capitale della Mauritania.
Giunsi all’oasi (perché questa città che oggi conta decine di migliaia di musulmani era e rimane un’oasi) verso il tramonto, e mentre l’autista mi aiutava a scaricare i bagagli dalla vettura, mi diede il benvenuto la commovente e religiosa invocazione del muezzin. Mio zio mi aspettava all’ambasciata presso la quale era funzionario di basso rango soltanto per l’indomani.
L’albergo era molto modesto ma l’impressione di sporcizia e cattiva manutenzione fu subito stemperata dal proprietario, un sessantenne barbuto che sorrideva e mi faceva grandi cerimonie, quasi fossi un diplomatico di rango, e soprattutto dal facchino, un giovane prestante che mi prese subito una mano nella sua, portando con l’altra libera la valigia e lo zaino. Quando quelle dita calde, lunghe e scure si intrecciarono con le mie in una presa virile e delicata insieme, un fremito scosse piacevolmente il mio addome. Il facchino mi condusse alla mia stanza. Costui, oltre ad un inglese creolo che comprendevo con qualche difficoltà, parlava solo la sua lingua; non riuscivo nemmeno a distinguere se fosse arabo o uno dei dialetti berberi. Quando lo congedai con una lauta mancia, mi fece capire che era a mia disposizione per qualunque necessità. Bastava che pigiassi un pulsante sopra il comodino a fianco del letto, per comunicare con la reception dove lui si trovava. Non ebbi nemmeno il tempo di guardarlo bene, perché nella stanza non entrò preferendo restare nella penombra del corridoio, e dopo aver lasciato i bagagli sulla soglia e avermi comunicato quello che mi doveva dire, repentinamente scomparve. Era alto più o meno quanto me, quindi doveva essere almeno un metro e ottantotto, e gli unici particolari che ero riuscito a fissare nella mia mente stanca per il viaggio erano stati i suoi denti bianchissimi e la stretta della sua mano, possente ma allo steso tempo di una tenerezza particolare, direi amicale. Nell'Africa del Nord, nella zona del Maghreb, è usuale vredere per strada due giovani maschi che camminano tenendosi per mano. Ma se si baciano sulle labbra possono venire anche lapidati! Terra d'amore e di furori, l'omosessualità è tollerata solo se non si manifesta nella sua gaiezza, ma si nasconde agli occhi del consorzio civile. La sodomia pone il corpo del maschio al rango del corpo di una pecora: una volta violato, potrà essere il ricettacolo di turpidini assai ferine, però non riacquisterà mai più la dignità perduta, e sarà considerato peggio del corpo femminile. Riflettendo sulle costumanze dei popoli che avevo conosciuto in plaghe molte distanti, facevo paragoni, progetti, calcoli. Quale sarebbe stato il margine di movimento che mi avrebbe lasciato mio zio? La gente del posto, apparentemente così calda, come si sarebbe comportatta su di un giaciglio d'amore? Avrebbe apprezzato il fiore segreto e delicato che lo straniero voglioso voleva offrire alla loro conoscenza?
Stanco per il viaggio, non avevo avuto nemmeno la forza di disfare la valigia; immerso in questi pensieri, pur se eccitato presto mi assopii, e sognai di chiamare Amin, questo era il nome del facchino, durante una notte illuminata solo da una gigantesca luna africana, nella mia stanza. Apparve nudo e visibilmente eccitato, come se fosse scivolato direttamente sui raggi dell'astro compiacente e un po' mezzano, ma mentre stavo per toccare da sopra la sua divisa il malloppo rigonfio che prometteva così bene, mi svegliai, senza aver nemmeno avuto la possibilità di lambire il frutto proibito. Avevo dormito un paio di ore, e si erano fatte le nove locali. Bevvi un po’ d’acqua, disfeci la valigia, lessi un po’ la guida che mi ero portato dall’Italia per organizzare la giornata di domani, presumendo che mio zio non potesse farmi da Cicerone per tutta la mia breve vacanza a causa dei suoi impegni di lavoro; infine decisi di andare a fare un giro di esplorazione per la città. Appena uscii non potei fare a meno di contemplare la splendida razza che popolava questo luogo: i Mauri, anche se sono di religione islamica, non sono di razza araba, ma rappresentano una fusione tra arabi, berberi e neri veri e propri. Ammiravo la loro pelle più scura rispetto a quella dei musulmani che popolano l’Africa settentrionale, i loro corpi più slanciati, cercavo di indovinare le loro forme più interessanti al di sotto degli indumenti, stimolato dai loro sguardi profondi come la notte e forse più scrutatori dei miei. Ma poi, dopo questi intensi sguardi, ognuno proseguiva per la sua strada. Era un’ora che camminavo, ero già passato più volte per la strada principale e ormai nessuno mostrava di interessarsi a me se non qualche mendicante che mi chiedeva dei dollari. Stanco, decisi di fermarmi in una specie di bar all’aperto, sotto delle palme, e presi un caffè come lo bevevano lì: molto lungo e molto forte. Il caffè ebbe su di me che non sono abituato a berlo, soprattutto la sera e la notte, un effetto similcocainico: eccitato, mi disinibii fino al punto di sorridere come un deficiente ad un ragazzo che avevo adocchiato, uno splendido ventenne, molto maschio, con le spalle larghe e certi occhi misteriosi e profondi che hanno solo i berberi. Anche lui era seduto ad un tavolino, ma senza consumare nulla. Conversava con un amico più anziano, baffuto e adiposo, che sembrava gli mettesse molta allegria. Quando gli sorrisi la prima volta, si girò dall’altra parte. Poi mi guardò di nuovo e vedendo che lo fissavo con insistenza, dopo aver brevemente confabulato con il suo compagno, senza essere formalmente invitato si presentò con costui al mio tavolo e si sedette di fronte a me. Parlava un discreto francese, mi chiese da dove venissi, quando fossi arrivato, quanto tempo mi sarei trattenuto. Mi informai su quello che si poteva fare in città, lui mi si offrì come guida, e, considerata l’ora, mi suggeriva di andare a vedere la luna sulla spiaggia. Di giorno, del resto, si sarebbe potuto vedere il sole sulla spiaggia... non era certo una metropoli la città nella quale dovevo soggiornare. Tuttavia le attitudini della gente del posto sembravano promettere una qualche forma di felicità. Fui molto toccato dall'uscita così romantica di colui che era appena un conoscente, e quando dopo aver pagato il conto mi prese per mano sopii ogni dubbio che mi era rimasto. L’unico elemento perturbante era il grassone, che come se niente fosse camminava al nostro fianco anche se non c’eravamo scambiati una parola (non parlava lingue straniere). Dopo aver percorso nuovamente la strada principale, si doveva prendere un viottolo oscuro; il mio senso dell’orientamento non è mai stato molto spiccato, ma ero certo che stavamo andando per la direzione opposta a quella che avremmo dovuto prendere per arrivare alla spiaggia. Quando il ragazzo d'un tratto tirò la mia mano e mi costrinse a toccare il suo membro durissimo da sopra gli indumenti, le dimensioni che mi sembravano considerevoli e l’eccitamento che ormai si era impadronito di me mi impedirono di agire in maniera razionale. Seguii nel viottolo quello che in fondo era uno sconosciuto, e appena si calò i calzoni (non portava mutande) subito mi avventai con la mia bocca su quel membro di sogno. Lo avevo appena assaggiato con la punta della lingua, che il grassone mi prese alle spalle e mi sollevò con violenza da terra (mi ero inginocchiato per succhiare agevolmente), stringendomi il collo con una corda fino a soffocarmi. A causa della presa non potevo parlare o gridare, e con terrore mi accorsi dopo alcune decine di secondi che stavo perdendo le forze. Ero caduto in trappola come un pivello, e ora ero nelle mani dei miei malfattori. Ero sicuro ormai che mi avrebbero ucciso; ebbi appena il tempo di compatirmi per una fine così ignobile: ucciso in una rapina in Africa mentre cercavo un po' d'amore... ma poco prima di svenire intravvidi una figura maschile che interveniva in mio soccorso correndo da un viottolo laterale. Quando mi ripresi ero disteso sul letto della mia stanza. Mi guardai allo specchio e a parte una curva rosso intenso sulla parte anteriore del collo, provocata dall’attrito della corda con la mia pelle, non avevo ferite e tutto sommato stavo abbastanza bene. Solo mi ero cagato sotto, nel vero senso della parola, per cui decisi di andarmi a fare una doccia e cambiarmi. Le mie mutande erano sporche di feci e urina, e realizzai di averla scampata proprio bella: in un saggio che parlava di mafia avevo letto che i malavitosi si accorgevano della morte del malcapitato sottoposto a soffocamento, quando appunto si bagnava con la sua urina. Quando uscii dal bagno notai terrorizzato che sulla sedia accanto al letto c’era una figura; non potei fare a meno di gridare, ero ancora sotto l’impressione di quella spiacevole avventura occorsami poco prima. Ma Amin, il boy che mi aveva accolto alla reception, mi mise una mano sulla bocca, e nel suo inglese incerto mi zittì. Quando realizzai di chi si trattava, e quando mi disse che era venuto a portarmi il portafoglio che mi era stato rubato da quei due bastardi (fortunatamente non avevo portato con me una cifra enorme, tuttavia mancavano una ventina di dollari) mi calmai immediatamente. Ma ancora arrabbiato per ciò che era successo, gli feci rozzamente notare che mancavano dei soldi; lui mi disse che dovevo ringraziarlo perché evidentemente già era troppo che avessi avuto indietro il portafogli. Poi mi accorsi che mancava anche il mio orologio e infuriato lo accusai di essere un ladro e di essere in combutta con gli altri loschi figuri, e insomma cos’altro voleva da me? Siccome stavo dando in escandescenze mi mise nuovamente la mano sulla bocca, e mi disse: “They wanta kill you”.
Solo allora, tenendo presente il pericolo ben maggiore che avevo corso, mi calmai e cominciai a sudare freddo: altro che soldi e orologio! Effettivamente se quella presa fosse durata un altro poco sarei morto strangolato in una via sconosciuta di Nouakchott, Africa. Fu in quel momento che notai anche la bellezza degli occhi di Amin, fu forse la sincerità della loro espressione che mi convinse più che la frase che mi disse. Erano occhi grandi, nerissimi, penetranti e mentre li fissavo a lungo, completamente affascinato e dimentico ormai della spiacevole avventura, dovevo esserne ipnotizzato.
Dopo parecchi secondi che lo guardavo, lui distolse lo sguardo per un momento e io lo baciai sulla guancia ringraziandolo per avermi salvato la vita. Lui fece un sorriso, mostrandomi tutti i suoi denti bianchissimi che ancora di più risaltavano su quella pelle scura, e dopo essersi passato lievemente la mano sulla guancia, come per trattenere il tocco delle mie labbra, mi chiese cosa altro potesse fare per me. Io gli dissi che avevo bisogno di una camomilla per rilassarmi, che quella notte non sarei riuscito a dormire, che non sarei più uscito dall’albergo, fingendo di essere agitato ancora per la rapina, ma in realtà mosso da una voglia lubrica e ingovernabile. Lui mi disse che quando ero in sua compagnia non dovevo aver paura di nessuno, che camomilla non ne avevano, ma che, se volevo, avrebbe potuto farmi un messaggio rilassante. Acconsentii cercando di non lasciar trapelare il mio entusiasmo per la sua fantastica trovata. Mi fece stendere sul letto a pancia in giù, e con movimenti sapienti, lenti, regolari, mi trasmise una sensazione di grande benessere. Allo stesso tempo una grande eccitazione si era impadronita del mio corpo. Sembrerà strano, ma la violenza che avevo subito invece di farmi diffidare definitivamente delle gentilezze degli autoctoni, determinava una maggiore attrazione nei loro confronti. Certo, Amin non era lo sconosciuto che avevo incontrato in una strada; anzi, di lui potevo fidarmi, faceva parte del personale dell’albergo e soprattutto mi aveva salvato la vita; eppure, anche se dopo emozioni così violente normalmente avrei desiderato solo di farmi una buona dormita, ero rilassato sì, ma non riuscivo a chiudere occhio. L’immagine di quel membro circonciso ed eccitato, che per qualche secondo ero riuscito a baciare in quel viottolo scuro, mi perseguitava, mettendomi in uno stato di eccitazione vagamente sadomasochista, mai provato prima. Era come se la sofferenza e la rapina fosse stato il giusto prezzo da pagare per una visione tanto agognata. Erano i miei sensi di colpa di turista occidentale che facevano capolino, ma la mia eccitazione metteva in evidenza anche una sfumatura di masochismo che credevo a me totalmente estraneo. Certo, ero disposto a pagare il giovane se mi avesse chiesto dei soldi dopo la sua prestazione, ma perché avrei dovuto sentirmi in colpa? Sfruttavo la miseria di un negroide per la mia soddisfazione erotica, forse, ma lui non sfruttava il mio orientamento sessuale per un facile guadagno? La vedevo come uno scambio equo tra due affamati, lui di denaro e io di carne. E in ogni caso, lo scambio era etnicamente ineguale, perché intanto avevo rischiato di essere assassinato, avevo perso parte dei soldi, e non avevo avuto nulla in cambio. In compenso però avevo approfondito la mia conoscenza con Amin, che quanto a massaggi ci sapeva proprio fare! Ad un certo punto cominciò a scendere con le dita sempre più giù, e poi dapprima timidamente, poi con maggior decisione, cominciò ad introdurre la punta di una delle dita nel mio ano. Doveva averla umettata con la sua saliva, perché sentivo anche una sensazione di bagnato. Ad un certo punto sentii che qualcosa di duro e di più grosso stava forzando il mio sfintere, che si era meccanicamente dilatato in seguito alla sapiente pressione. I petali del mio fiore segreto cominciavano a inumidirsi e il mio membro premeva durissimo contro il materasso. Mi voltai, un po' spaventato, dato che se anche piuttosto sciolto di bocca e di mani, di dietro ero ancora illibato e alquanto inesperto nelle rudi pratiche sodomitiche: vidi così Amin completamente nudo, che poggiando le mani sul letto stava cercando di penetrarmi con il suo membro gigantesco in una posizione che doveva tra l’altro essere alquanto scomoda per lui. Quando gli dissi che non volevo perché lì ero ancora vergine, si alzò in piedi e rimase in quella posizione con il pene tesissimo che quasi toccava il suo ombelico e un sorriso ebete sul volto. Mi voltai completamente e restai a guardarlo per qualche secondo: non era un giovane uomo di razza maura, quello di fronte a me, era una divinità africana che si ergeva in tutto il suo splendore e alla quale era impossibile resistere: il suo glande a ritmi regolari batteva contro l’ombelico, ma nonostante il parossismo del suo desiderio promanava una sensazione di grande tranquillità; tutti gli altri muscoli del suo corpo erano in posizione di quiete; intuivo però che se solo gli avessi dato un segnale positivo, da quello stesso corpo così “calmo” avrebbe potuto sprigionarsi un’energia belluina che mi avrebbe regalato dolori e piaceri da mille e una notte. Mi alzai, anch’io completamente nudo. Carezzai i suoi bicipiti torniti (scoprii poi che lavorava anche come scaricatore nel porto della città tre notti a settimana); carezzai con cautela le sue spalle e le sue braccia, quasi avessi a che fare con una fiera. Assorbii il suo forte odore maschile, di sesso e sudore, quell'odore particolare e molto eccitante che gli arabi promanano soprattutto dai fianchi. Lui, immobile ed eccitatissimo, mi lasciava fare studiando i miei movimenti. Avvicinai la mia bocca alla sua e quando sentii il suo alito caldo che profumava di tè alla menta, non resistei alla tentazione di poggiare le mie labbra sulle sue: subito la sua lingua cominciò a guizzare come un serpente ed esplorò ogni angolo della mia bocca. Durante tutto il tempo di questo lunghissimo bacio continuammo a fissarci negli occhi, io, lo straniero e lui, la misteriosa divinità africana. Quando il bacio finì con la lingua leccò la saliva con la quale gli avevo bagnato le labbra, quasi fosse il condimento di chissà quale prelibato piatto. Questa cosa mi fece impazzire, e questa volta lo baciai abbandonandomi completamente a lui. Chiusi gli occhi e gli presi la faccia tra le mani, poi cominciai a baciarlo dappertutto: sugli occhi belli, sul collo, di nuovo sulla bocca, poi sotto le ascelle, gustando il suo odore selvatico. Quindi cominciai a scendere, assaggiando con la punta della lingua i suoi capezzoli durissimi, e poi ancora più giù, seguendo la striscia di peli che partendo dal ventre giungeva fino alla radice del membro; dovetti scostare il suo membro per baciarlo all’altezza dell’ombelico. Era caldo, vibrante, con un odore fortissimo. Mantenendo con la mano sinistra l’asta, cominciai a masturbarlo distrattamente, mentre con la bocca gli mordicchiavo le palle. Poi finalmente cominciai a risalire baciando quel tronco scuro, piano piano, annusandolo e contemplandolo. Era la prima volta che ne vedevo uno di così ragguardevoli dimensioni dal vivo, e inoltre era anche circonciso; non riuscii più a contenere il mio desiderio, e cominciai a succhiarglielo senza nemmeno rivestirlo di un preservativo; quando sarebbe stato per venire avrei mollato la presa orale e avrei continuato con la mano. In bocca mi sembrava di avvertire il sapore dei suoi umori prespermatici, un sapore aspro ma piacevole; stavo per venire semplicemente succhiandoglielo, quando Amin mi fece alzare e mi invitò a distendermi sul letto. Mi disse, probabilmente mentendo, che se non me lo metteva dietro non sarebbe mai riuscito a venire. Forse non avrebbe avuto il massimo godimento: sapevo che ai nordafricani piace moltissimo metterlo nell'ano, è l'atto che li appaga di più. Ma io avevo paura, e poi sarebbe stato più che sufficiente lasciarmi inondare il viso dal getto del suo caldo sperma, che immaginavo copioso e saporito. Gli risposi che non l’avevo mai preso dietro, lui mi disse dolcemente che avrebbe fatto piano, very slow slow, e che mi sarebbe piaciuto molto. Mi rassegnai e lui riprese dapprima a farmi dei massaggi sul bacino; poi, come prima, continuò con le dita. Infine, quando il mio ano sembrava essere abbastanza rilassato per essere penetrato cominciò ad introdurvi la punta della sua verga circoncisa. Dapprima lo mosse verticalmente lungo l’orifizio: era una sensazione piacevolissima, non immaginavo che potesse essere così bello: la testa scura e prepotente della sua verga, pur nella sua grossezza sembrava adattarsi magicamente all'elasticità dei iei muscoli anali, forse perché il mil corpo doveva desiderare quel pene caldo e curioso più di quanto io ne fossi cosciente: imnsomma, stavo quasi per venire e lo esortai eccitatissimo a spingermelo tutto dentro. Amin non si fece pregare, ma quando il glande varcò il mio orifizio mi pentii della mia proposta. Mi vennero le lacrime agli occhi e mordevo il guanciale per il dolore che provavo. Il piacere era stato sostituito da una fitta dolorosa che bloccò la mia eiaculazione. Ma ormai mi era dentro, e mi vergognavo a fare la femminuccia. Non potevo tirarmi indietro ora. Gli chiesi solo di bagnarmi un altro poco. Lo cacciò fuori, e con molta pazienza cominciò a leccarmi il buco del culo, arrivando con la sua virtuosa lingua molto in profondità. Quando lo inserì nuovamente sentii molto meno dolore, della prima volta, e quando cominciò a muoversi dentro di me con lenti movimenti regolari, il piacere che provai era incommensurabile al dolore precedente. Era una sensazione meravigliosa averlo tutto dentro di me, ora, fino alle viscere, e l’unica cosa che mi rammaricava era di non poter vedere le espressioni di godimento sul suo volto. Dolore e piacere erano divenuti un’unica, indistinta, bellissima sensazione. Lo sfintere ben lubrificato si era adattato alle dimensioni di quel nerbo, gli umori secreti dal mio interno e quelli prostatici provenienti dal suo grande, mischiati alla saliva e a un po' di sangue, lo lasciavano scorrere su e giù con ritmica violenza. Ormai mi sentivo solo tutto bagnato, il dolore era scomparso del tutto e avrei voluto conservare il suo oorgano durissimo per sempre dentro di me. Muovendo e rotenado il bacino assecondavo i movimenti delle sue anche, e avevo l'impressione quasi di poter regolare la stretta a mio piacimento. Tuttavia sentivo di essere ancora molto inesperto, anche se cominciavo a prendere consapevolezza di una gamma di empozioni e possibilità di provare e arrecare piacere completamente nuova. Amin cingeva i miei fianchi per poter controllare meglio i suoi inserimenti, io come una belva impazzita stringevo la spalliera del letto pregando che quel piacere non terminasse mai. Quando lo cacciò fuori completamente ebbi come una sensazione di vuoto allo stomaco, come se mi avessero estirpato parte dei miei stessi visceri e allo stesso tempo un senso di liberazione che fece sobbalzare il mio pene come per una controreazione prostatica; mi resi conto a malincuore che stava per venire (eravamo rimasti d’accordo che al momento dell’orgasmo lo avrebbe cacciato fuori). Ma non riuscii a controllare il mio desiderio e me ne infischiai di tutte le precauzioni: ormai mi aveva deflorato, quel che era fatto era fatto, e trovavo meschino lasciarlo continuare con le sue mani o finire con le mie dopo quello che c’era stato, per un miserrimo e inutile scrupolo: mi girai e glielo presi nuovamente in bocca; ebbi appena il tempo di serrarlo tra le mie labbra che subito uno, due, tre, quattro, cinque, sei fiotti di sperma denso, caldo e un po’ salato mi riempirono il cavo orale mentre anch’io godevo come non mai. Il mio orgasmo giunse mentre bevevo il latte del mio amante, come per riassimilare tutte le proteine che avevo bruciato nella meravigliosa sodomia che aveva fatto di me un uomo gaio. Dopo aver ingoiato fino all’ultima goccia con grande piacere mio e suo continuai a succhiare per un po’, fin quando l’unico umore che restò sul suo glande circonciso fu la mia saliva. Poi ci stendemmo entrambi sul letto, e mi addormentai sul suo petto pieno di riconoscenza.
Avevo perso la mia verginità, ma nuove, infinite fonti di piacere cominciavano a distinguersi dietro i miei orizzonti erotici, fino a quel momento davvero troppo limitati.

SYD VICIOUS


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