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sabato, ottobre 22, 2005

 

I RAGAZZI NAPOLETANI SONO I PIU' SAPORITI D'ITALIA (racconto gay) di SYD VICIOUS

Vi suggerisco di leggere questo racconto dall'inizio alla fine, anche se vi sembrerà un po' lento dal punto di vistadell'erotismo. Se volete godere a pieno dell'esplosione finale del piacere dovete seguirne il ritmo che costruisce a poco a poco la rivelazione di un piacere sublime...

Il vostro Syd Vicious


Avevo una serie di faccende da sbrigare nel centro storico quella mattina di giovedì scorso. Non avrei mai immaginato il risvolto erotico che avrebbe caratterizzato il resto della giornata. Mi ero alzato alle 7 e 30, già innervosito per la sveglia di buon’ora dopo una notte trascorsa in buona parte a chattare, nella speranza di conoscere nuovi amici; sono già quattro mesi che sono single dopo una breve storia che ha avuto il solo merito di riattizzare le mie voglie sessuali, dopo che mi ero ripromesso di trascorrere un periodo di sana castità, sfociato ignominiosamente in una sequela di seghe vertiginose guardando gli splendidi stalloni che mostrano i loro attributi free sulla rete; non uscivo più di casa se non per le necessità fondamentali, vale a dire la spesa e il barbiere una volta alla settimana. Dopo essermi licenziato dal lavoro part-time che svolgevo presso un anziano e laido rigattiere, che si mostrava più interessato a toccarmi le cosce che a svolgere i suoi miseri affari, avevo deciso di farmi sfruttare da un’agenzia pubblicitaria. Infatti, malgrado la mia laurea, non si trattava di un lavoro prestigioso: dovevo distribuire volantini per la strada. Lavoro sempre part-time, prospettive per il futuro zero; era solo per tirare avanti nell’attesa di giorni migliori, quelli in cui sarei riuscito a piazzare presso qualche produttore "sensibile" il porno casalingo che avevo girato con mezzi di fortuna, il quale aveva come star un nigeriano del Casertano che si era stufato di fare lo stagionale come raccoglitore di frutta. Secondo me si trattava di un buon film, anche se di genere etero. Avevo fatto tutto io, avevo scritto persino la sceneggiatura, incentrata sulla storia di questa casalinga che vive con un anziano marito contadino, in un rustico immerso nella campagna, e questo mandingo che dà una mano di giorno al marito nella terra e il cazzo alla moglie di notte nel fienile. Il magnifico membro del nero era appropriato al genere cinematografico, e le troppe inquadrature che gli avevo dedicato stavano modificando il soggetto del film, che avrebbe dovuto intitolarsi “Schiavo superdotato per padrona vogliosa”, in un’opera che sarebbe stato più opportuno chiamare “Il pene delle meraviglie”… Ma sto divagando e non voglio annoiarvi con le mie velleità artistiche; e alla fine avevo imparato a conoscere quel pene così bene, inquadrandolo in tutte le posizioni e utilizzazioni, che mi aveva anche un po' nauseato. Oltretutto non ci fu possibilità di andare al di là dei rapporti professionali perché l’attore era abbastanza limitato: sosteneva che gli piaceva solo la fica; poverino, non sapeva cosa si perdeva!
Dunque, dopo queste vicissitudini artistiche, peraltro senza riscontri economici, mi ero dedicato al volantinaggio per guadagnarmi il pane quotidiano. E quella mattina mi recavo nella mia postazione al centro storico, nel cuore di Napoli. Zona di studenti universitari e di borghesia media e medio-alta mischiata con proletari (come solo a Napoli), qualche immigrato, parecchi fuorisede, molti turisti stranieri e allegre scolaresche in visita per la città. Ripensandoci ora, già all’uscita della metropolitana qualcosa doveva aver solleticato il mio sub-cosciente, perché avevo intravisto questo ambiguo manifesto di un bel ragazzo, sicuramente del posto, con lo sguardo torvo, un numero della tombola in mano e sotto la scritta ambigua “ ‘o cazone”, che per somiglianza fonetica mi aveva immediatamente fatto pensare a un membro di dimensioni abnormi (un cazzone!). In effetti in napoletano con il termine "cazone" si designano semplicemente i pantaloni, tuttavia bastava una zeta in più per immaginare qualcosa di ben più interessante: il tesoro che possiedono tutti i maschietti, che fin quando è avvolto nella stoffa dei jeans ed è imbracato nelle mutande, è soffuso di mistero; confesso che sovente, con circospezione, il mio sguardo cerca di indovinarne forme, dimensioni e movimenti nel gioco delle pieghe dei pantaloni, e quando un ragazzo si tocca lì spensieratamente, abitudine inveterata in questi luoghi, gesto strafottente e allo stesso tempo apotropaico eseguito con non so che stoica indifferenza, un brivido di emozione mi scende dalla nuca, attraverso la spina dorsale, fino al bacino.
Per questo amo passeggiare per le strade di Napoli. E poi come ti guardano i ragazzi napoletani non ti guarda nessuno! Sguardi che possono essere di curiosità, di interesse, di vorrei ma non posso, sguardi mariuoli, sguardi che affatturano, sguardi di figli di puttana, sguardi che ti fanno immaginare tutto e il contrario di tutto perché, anche se tra sconosciuti, semplicemente camminando ci si lancia queste occhiate che durano molto più di semplici occhiate, come dire, di convenienza. È una specie di saluto che fa parte della nostra educazione ancestrale e uno sconosciuto incontrato per caso che non ci guarda negli occhi lo riteniamo un maleducato e un infido.
E vogliamo parlare della bellezza di questi ragazzi, che non hanno bisogno di palestre per i loro corpi naturalmente flessuosi e seducenti? Le loro andature provocanti, il loro muovere le mani, i loro sorrisi, il loro gesticolare, le tonalità vivaci della lingua natìa talvolta capace di eccitarti solo con il suono delle parole… purtroppo queste autoctone virtù si stanno perdendo con la colonizzazione. I modelli di riferimento diventano sempre più gli squallidi settentrionali, i quali a loro volta sono stati colonizzati dagli Americani, specialmente tra le classi più alte. Tuttavia, anche in queste classi, non è raro trovare a Napoli ragazzi che curano il loro aspetto secondo criteri metrosexual senza perdere quella spontaneità “popolare” che fa parte del loro dna; lo si vede dagli occhi che conservano vivissimi a differenza di coetanei di altre città che sembrano statue che sfilano con lo sguardo perso chissà dove, come zombie privi di personalità che spiccano al massimo in un asettica fotografia, nella quale però si perdono espressioni, odori, profumi, emozioni. Questo tipo di ragazzo napoletano, anche se presente un po’ in tutta la città, sembra prevalente nel centro storico, forse perché vi è una grande concentrazione di scuole superiori e di università, dove si mischia con altri esemplari normali e ragazzi "del popolo". Quella mattina di giovedì ero molto stanco: avevo fatto fatica a sbarazzarmi di tutti i volantini, ai quali nessuno sembrava interessato; il clima era cubano, un caldo umido con scrosci improvvisi di pioggia che rendeva tutti nervosi e scostanti. Si era fatta ora di pranzo e decisi di rifocillarmi in una rinomata pizzeria con una semplice e gustosa margherita per riconciliarmi con me stesso e con la città inusualmente distratta; nella pizzeria oltre a me c’erano solo due ragazzi e una ragazza, una piccola comitiva che giudicavo dovesse essere composta di matricole di qualche facoltà scientifica, in base ai loro discorsi e ai libri gettati sul desco aggettante il muro, sul quale con pochi euro potevi gustarti qualcosa di buono e una bibita senza pagare il servizio, osservando a un paio di metri di distanza la preparazione e la cottura a forno della stessa. La margherita è un cibo geniale e afrodisiaco: pochi ingredienti compongono una pietanza che ti seduce per la forma e la composizione e ti risolve il problema del pranzo o della cena: la mozzarella di bufala filante come sperma condensato e lascivo, la polpa di pomodoro come sangue raggrumato e profumato, la pasta tenera come la carne di un adolescente: è senz’altro il cibo degli dei e uno degli elementi che contribuisce alla nobiltà del nostro popolo. Mentre attendevo impaziente la cottura, era entrata un’altra ragazza della piccola comitiva, ma non c’era posto per lei vicino ai compagni perché io avevo occupato l’unico disponibile. La consumazione che aveva ordinato era già pronta, sicché con un gesto di stizza si era spostata dall’altro lato del muro dove c’erano un paio di posti vuoti. Uno dei ragazzi della comitiva aveva attratto subito il mio interesse: splendido esemplare di giovane napoletano, indossava un paio di jeans sdruciti, una cintura very metrosexual con una borchia molto particolare che rappresentava una specie di serpente con spire flessuose, una maglietta colorata di gusto pop, scarpe nere e lucidissime tipo Hogan. I capelli erano costruti con la gelatina in uno stile postpunk, la loro nera selvatichezza era stata ordinata con la gelatina in una composizione streetlife. E al lobo sinistro, un orecchino costituito da una sottile spilla che trafiggeva un piccolo disco completava il suo look sensuale e giovanile. Mi innamorai subito dei suoi occhio castani striati di verde, della sua voce irridente e scanzonata; sfotteva una bionda che corteggiava con nonchalance, mentre l’amico sembrava il tipico chiattillo da tappezzeria, un tipo insignificante con lo sguardo da persona studiosa e un paio di occhiali che già lo facevano futuro biologo o pressappoco. Quella che con un gesto di stizza si era avviato verso l’altro posto disponibile doveva essere una lesbica. Aveva i capelli rasati a zero, modi virili e carattere scostante. Ad ogni modo mi dispiaceva guastare l’armonia del gruppetto e spontaneamente mi offersi di cambiare di posto in modo che i quattro amici potessero stare insieme. Dapprima sembrarono non capire, dato che la gentilezza è merce rara in questi giorni cinici; poi mi ringraziarono con ampi sorrisi che esaltavano i denti bianchissimi e si profusero in “grazie”. Quello che mi piaceva esclamò: - Simpatico, eh? - o qualcosa del genere, quando mi allontanai. Con la mia proposta mi ero rivolto direttamente a lui, che stravaccato su uno sgabello con le cosce aperte e poggiato con le spalle al desco sembrava essere molto a suo agio. Avevo anche le mie ragioni, per il comportamento gentile. Certo rinunciavo a contemplare di sottecchi il mio Luca, così avevo sentito che lo chiamavano, ma in realtà me lo ingraziavo per il momento in cui con qualche stratagemma avrei approfondito la conoscenza di un tipo così interessante. Intanto ascoltavo con vivo interesse, ma senza dare nell’occhio, la loro conversazione e contemporaneamente gustavo la mia margherita. Finito di mangiare andai fuori a fumare una sigaretta e a pensare un modo per attaccare discorso. Non ce ne fu bisogno. Fu lo stesso Luca che mi rivolse la parola chiedendomi una sigaretta.
- Ma non ti sembra di esagerare?- rispondo con tono scontroso temperato da un sorriso di gioia che a malapena dissimulavo
- Che vuoi dire? –
- Beh, prima cedo il posto alla tua ragazza, poi ti faccio da tabaccheria ambulante…
- Ma chi, Elena? Ah, ah… lei è lesbica. No, io al limite corteggio quell’altra, Alessandra - e tira un po’ pensieroso una boccata di fumo.
- Spero per te con esiti positivi.
- Tutt’altro, è tutta presa dai crediti, gli esami, quel rattuso del professore di biologia che si scoperebbe volentieri pur di superare la prova. E parla solo di obiettivi, carriera, futuro…
- Una tipica ragazza di oggi. Sai, anch’io sono stato iscritto a biologia (che bugiardo) poi ho scelto una facoltà umanistica perché ho deciso di fare quello che mi piaceva.
- Figurati, io volevo fare cinema.
- Come attore? (noto che gli occhi gli brillano un po’ di narcisistica soddisfazione)
- Ma no, come regista o sceneggiatore… perché mi vedi attore?
Ma scherzi? stavo per rispondergli… con questi occhi così belli e con questo fisico… ma fortunatamente arrivano gli altri e mi salvano dall’esaltazione della sua bellezza che mi avrebbe subito sgamato.
Mi presenta agli altri e mi dice che loro stanno andando in piazza, se mi va di accompagnarli, io dico che faccio la stessa strada perché devo prendere la metropolitana. Nel frattempo penso alle nostre mani che si sono sfiorate mentre gli accendevo la sigaretta, al modo con cui mi ha toccato il braccio mentre parlava e a quell’unico brufolo sul lato destro del collo che vorrei far scoppiare chissà perché tra le mie dita.
Insomma, per non portarla a lunga, abbiamo preso insieme la metropolitana. Lui doveva scendere a Piazza V., l’altro amico era sceso alla fermata prima, mentre le due ragazze abitavano in centro e se la sono fatta a piedi. Io mi invento che devo scendere a Piazza V. perché devo comprare dei floppy vergini per il pc, lui mi dice che ha la macchina e visto che abito nelle vicinanze si offre di accompagnarmi. Mentre ci prepariamo a scendere siamo circondati di persone. C’è ressa e poco spazio. Luca è dietro di me e avverto qualcosa di solido dietro le mie natiche. Non riesco a capire se sono i sussulti della metropolitana o è lui che si struscia. Finalmente scendiamo e noto che si avvolge la giacca leggera che aveva tenuto in mano tutto il tempo attorno ai fianchi, coprendo la zona strategica. Io lascio cadere una moneta per terra e nel raccoglierla con il gomito lo sfioro in mezzo alle gambe. Resta immobile con uno sguardo imbambolato. Proseguiamo come se niente fosse. Succede nel parcheggio della metropolitana. Cominciamo a parlare e noto con piacere che non si decide a mettere in moto la macchina. Ad un certo punto non ce la faccio più e gli dico se gli posso schiattare il brufoletto. Lui acconsente e non avete idea di quanto liquido bianco schizzi e con che impeto. Lo pulisco con un fazzolettino dicendogli che mi piace molto il suo orecchino e se glielo posso sfilare. Acconsente ancora una volta e a toccargli il lobo mi eccito ancora di più. Grande imbarazzo, lui non parla più. Audace gli metto un dito nell’orecchio. Il profumo che ha addosso è senz’altro Hugo Boss. Mi dice con una faccia strana:
- Ma che stai facendo, dài andiamo… facciamo tardi!
Allora prendo coraggio, capisco che non è gay ma è eccitato lo stesso ed è disponibile; gli strizzo il pisello duro da sopra i pantaloni.
- Mi fai male - fa lui tutto serio.
- Dove? - faccio io,
continuando a carezzarlo dolcemente. Capisco che sarà completamente passivo e non prenderà alcuna iniziativa, ma mi piace così tanto che voglio farlo venire nella mia bocca per assaggiare il dolce sapore del suo sperma.
- Qui ti fa male?
E gli massaggio lentamente l’uccello che sento durissimo sotto le dita. Sento che il suo respiro aumenta e una vampata di rossore ed eccitazione gli colora il giovane viso.
- Perché non ti sbottoni i pantaloni, così vediamo meglio dov’è il problema? -
È completamente muto ma mi lascia fare e dire tutto. Sempre continuando a masturbarlo a secco gli dico:
- Sai, ho una voglia matta di leccarti dietro. La tua ragazza non ti ha mai leccato lì? Guarda che è bellissimo! Però dobbiamo cercare una buona posizione, nella macchina è impossibile.
Lo conduco nello stanzino del parcheggio dove sono conservate scope e secchi. Non c’è molta luce e questo forse lo disinibisce:
- Prendimelo in bocca, dài - mi esorta con voce bassa e spingendo la mia testa verso il basso. Quando mi accovaccio si sbottona i jeans. Indossa un paio di slip neri molto deformati davanti a causa dell’erezione e fuori fa capolino il glande che mi sembra una castagna odorosa. Gli do una leccata e mi rendo conto che è già umido di liquido prespermatico all'amaro sapore di caffè. Per non venire subito decido di cambiare strategia e lo faccio voltare.
- Aspetta, ti voglio fare una cosa che ti farà impazzire di piacere.
Ora c'ho la sua schiena davanti e gli abbasso gli slip da dietro, mentre dal lato genitale sono sostenuti ancora dall’erezione del suo membro a malapena coperta. È abbastanza pulito, e l’odore del suo muco anale è come di panna fermentata. Comincio piano piano a lambire il solco con la punta della lingua. Con la luce dello schermo del cellulare illumino il buchetto, ma non riesco a distinguere la coroncina rosacea. Vorrei vedere in piena luce le contrazioni di piacere che lo stringono e lo allargano come una rosa sensuale che sboccia a intermittenza inebriandomi del suo profumo virile. È dolcissimo e gode da matti, ma è ancora un po’ teso, lo avverto dalla rigidezza delle gambe. Tra le narici del mio naso sento i suoi peli e il loro profumo, deve usare un sapone al limone per le pulizie intime. Il solco anale è ora completamente bagnato e la mia lingua che vi sguazza comincia a fare dei rumori osceni, come se stessi leccando goloso un gelato. Poi sento un sapore nuovo, diverso da quello della mia saliva. È il lubrificante naturale delle sue ghiandole anali che rende l’organo pronto ad essere penetrato. Le contrazioni del buco sono così frequenti e violente che sembra voglia inghiottire la mia lingua sapiente. Ora non riesce a trattenere i gemiti di piacere, ma io dolcemente lo zittisco, ricordandogli che dopotutto siamo in un parcheggio pubblico.
- Aaaagh, non pensavo fosse così bello, ti prego continua così è una sensazione fantastica…
Gli etero purtroppo non sono consapevoli delle risorse di piacere insite nei loro organi. Il piacere che può procurare una persona del loro stesso sesso, che conosce il corpo maschile sempre meglio di ogni femmina e meglio di queste sempre ne può godere è a loro sconosciuto. Anche un pompino fatto da un maschio è un opera d’arte rispetto all’artigianato più onesto della migliore professionista. Questo succede perché le donne non hanno mai un culto del fallo come i gay, esse al massimo possono manipolarlo per procurare facili piaceri, ma non il godimento sublime dato da chi il pene lo adora come se fosse una parte di sé. Gli infilo dolcemente il dito da dietro, ma ho osato troppo per quello che deve essere la sua prima esperienza omo. Si irrigidisce perché ho violato il sacro santuario, l’oggetto proibito di ogni virilità. Anche se il buco continua a contrarsi dimostrando di apprezzare molto l’indolorosa e piacevolissima penetrazione, simile alla sensazione che si prova quando si fa una buona cacata, razionalmente non è ancora pronto per questo tipo di piacere. La mia esperienza mi suggerisce che sono andato fin troppo in là per questo primo incontro, e che ce ne vorranno altri per disinibirlo totalmente dai pregiudizi che gli hanno inculcato sin dall’infanzia. Credo che dipenda dalla presenza di un altro pene, il mio. Se fossi stato una donna sarebbe stato più accondiscendente, essendo una donna priva di organi che possano attentare, come a torto presume, alla sua virilità. E priva dello strumento che può dare il piacere più sublime, il godimento anale e il relativo orgasmo anale, che per ogni etero sarà sempre misterioso e costituirà l’invidia inconscia che hanno per i gay che lo provano. Intanto ho la faccia piena dei suoi umori, dopo un po’ di su e giù con il dito medio lui si gira all’improvviso e mi sbatte in faccia il suo glande umido. Capisco che il massimo che può concedermi è ora il suo cazzo pulsante attraversato da contrazioni spasmodiche. Gli abbasso gli slip anche davanti e riesco a distinguerne la sagoma scura. Accendo di nuovo lo schermo del cellulare e lo osservo meglio. Il gioco sembra eccitarlo. Lo impugno e lo libero completamente dal prepuzio, di modo che il glande si scopra completamente. È un arnese caldissimo che sarà lungo almeno 19 cm, in media un centimetro per ogni anno della sua età.
- Complimenti! - gli dico.
Gli soppeso delicatamente i testicoli gonfi del liquido degli dei, sembrano in ebollizione. Glielo prendo in bocca cercando di portarlo all’interno della mia gola con movimenti lenti e ritmici. Ogni volta che lo caccio fuori, ma mai completamente, lo avvolgo con un veloce movimento della lingua guizzante come serpe. Sento il suo sapore e avverto un’odore di primavera. Capisco che sta per venire. Allora con una mano gli stringo dolcemente i testicoli, con l’altra gli infilo a tradimento il medio nel buco ancora umido dandogli un sussulto di piacere mai provato, e con la bocca inghiotto solo la punta del membro slinguettando velocissimo tra il frenulo e il solco prepuziale. Degli schizzi violentissimi sembrano volersi spingere fin dentro il mio stomaco, e continuo a succhiare e a inghiottire tutta la sborra. Mi fido di questo giovane puledro, e non voglio gettare niente di lui, voglio nutrirmi di tutte le sue proteine, voglio incorporare il suo dna.
- Ghaaaaaaah – esclama lui inondandomi la bocca e stringendomi fortissimo la testa quasi facendomi male. Sto per perdere l’equilibrio e devo poggiare una mano per terra per non cadere. Con l’altra mi bastano pochi tocchi per venire anch’io senza sporcarlo, di lato, mentre c’ho ancora il suo in bocca il suo membro che si è prosciugato ma che è ancora duro e caldo. Dopo aver assorbito con la lingua gli ultimi rimasugli di sperma non riesco a staccarmi da quel pene magnifico, se non per dirgli:
- Aspetta che te lo pulisco per benino –
Glielo slinguetto con tale perfezione da prolungare il suo orgasmo fino allo sfinimento, sento le sue gambe che stringo fra le mani farsi finalmente molli, come se stesse venendo meno. Dopo quest’ultimo trattamento il suo uccello è più pulito di quando si è lavato. Glielo rimetto nelle mutande, gli sparo il mio numero di telefonino sul cellulare (il suo numero me lo aveva dato in macchina), scappando verso la metropolitana che mi condurrà a casa e lasciandolo lì, nel buio, con i pantaloni ancora abbassati e le sue secrezioni dentro di me. Abbiamo poco da dirci ora, e per le paranoie di coppia bastano già le ragazze che ti fanno pagare un pompino con una overdose di romanticismo. Quando vorrà godere, gratuitamente e senza implicazioni sentimentali saprà come trovarmi. Anche se io ne sono già innamorato.

Syd Vicious

Comments:
grande segone su questo racconto!! non hai foto da postare?
 
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