martedì, marzo 07, 2006
GALEOTTO FU IL MECCANICO (racconto gay di LA SYD VICIOUS)
GALEOTTO FU IL MECCANICO: LA MIA RICADUTA NEL MONDO DI SODOMA.
Ahimé son caduta! Non è finito nemmeno il Triduo quaresimale e tutti i miei bei propositi son andati a farsi friggere. Altro che grande amore, altro che principe azzurro con cui inaugurare uno stile di relativa castità, altro che vita cristiana. Cosa dirò a padre Licio? Ahimé peccatrice irrecuperabile! A pensare che stamattina, seguendo il consiglio del mio padre spirituale, avevo aperto pure la Bibbia alle pagine in cui si narra di Sodoma e Gomorra… ma a un certo punto, quando gli abitanti malvagi della città vogliono avere commercio carnale con gli angeli, una strana eccitazione si è impadronita di me e non ho potuto continuare più la mia lettura perché i pensieri peccaminosi avevano preso il sopravvento. Immaginavo osceni connubi volanti con bellissime creature che s’involavano godendo nei più luminosi cieli di un Raffaello, orgasmi sublimi che sfumavano in un azzurro pastello mentre le fiamme dell’Inferno non riuscivano a lambire le carni degli amanti che avevano guadagnato la loro libertà dalle catene terrene, librando i corpi sensuali e caldi negli spazi infiniti in direzione delle porte del paradiso, che immaginavo si schiudessero in un tripudio di trombe celestiali… Per distrarmi da questi pensieri poco cristiani ho deciso di andare a farmi mettere le casse per lo stereo nella macchina dal meccanico, cosa che rimandavo ormai da tre settimane. Ho chiamato in officina e mi ha risposto una voce giovane e un po’ rozza, molto sensuale. Ho scoperto che apparteneva al nuovo garzone che il proprietario dell’officina aveva preso con sé a lavorare. Deve essere successo al massimo un paio di mesi fa, perché ricordo che alla fine di dicembre avevo fatto aggiustare il clacson e c’era Tonino da solo, senza nessuno che lo aiutasse. Un tipo simpatico ma non particolarmente attraente, con cui ho instaurato un rapporto basato sulla fiducia e sulla stima reciproche. Questo Alfredo, il nuovo garzone, invece, non l’avevo mai visto né sentito. Con un non so che di misterioso nella voce un po’ roca e con il suo italiano un po’ incerto mi ha fissato un appuntamento per le tre del pomeriggio. Quando sono arrivato all’officina, in perfetto orario, non c’era nessuno. Dato che il paese in cui vivo è abbastanza bigotto, ho evitato mise particolari, che mi riservo per la città – che di notte, in certe zone e in certi periodi è (un pochino) più evoluta – nel timore di suscitare scandali e di essere gratificato del titolo di frocio senza nemmeno un saluto di buongiorno. Non che l’offesa mi turbi particolarmente, dato che pure essendo un bravo guaglione – come nella nota canzone – un poco ricchione lo sono davvero, anzi tanto, ma come sapete dal mio diario elettronico, care amiche, sto attraversando una fase di castità e questi gorillazzi dei miei compaesani facilmente passano dagli apprezzamenti verbali a quelli carnali. In poche parole non volevo ritrovarmi all’improvviso in un viottolo di campagna con la bocca e il culo occupati da carni di non mio gradimento e magari con qualche orribile chiazza violacea sulla mia pelle così delicata e bianca, immagine esterna della mia purezza interiore attuale oltre che del principio di anoressia causatomi da una dieta forse troppo radicale. Questi tarpani semianalfabeti non vanno tanto per il sottile e dato che sono repressi perché le loro compaesane non la mollano facilmente – perché qui la verginità è ancora un valore, ci credereste? – sono alquanto grossolani quando devono dare uno sfogo ai loro bassi istinti. In poche parole la vostra affezionata Syd si è vestita da maschietto, in maniera abbastanza anonima: due stivali senza ghirigori, molto Brokeback Mountain, un paio di jeans alti, in modo che non si vedesse la rosa blu che mi sono fatta tatuare sul mio sederino di burro, integri e senza nemmeno uno strappo, una cintura poco appariscente, una camicia bianca con sbuffi pochissimo vaporosi sulle maniche per spezzare un po’ la rudezza country & western, un gilè, un solo orecchino, un brillantino piccolissimo quasi invisibile, niente piercing esterni, solo quello sulla lingua e sul capezzolo sinistro e infine un foulardino a tono con gli stivali. Mi sono portata anche un cappottino, ma non l’ho indossato perché non faceva particolarmente freddo e oggi mi sentivo già tutta primavera (anche se manca ancora qualche settimana). Per il resto niente trucco, sono andata acqua e sapone, limitandomi a raccogliere i miei lunghi capelli corvini in un severo codino. Mi sentivo una specie di giglio un po’ austero che cercava di mimetizzarsi tra i fiori sporchi che crescono sull’asfalto, una stella ormai implosa che per un residuo di vanità lancia al mondo i suoi ultimi bagliori, un po’ patetici e con un fascino vagamente crepuscolare. Arrivato all’officina sono sceso dalla macchina senza scosciare e, lo giuro, mi sono avviato all’interno evitando con tutte le mie forze di sculettare, tenendo le mani e le braccia distese virilmente lungo i fianchi. Il ragazzo era nell’abitacolo di un fuoristrada che riparava nonsoché, e nonostante la tuta da lavoro gli si vedevano benissimo il culetto sodo e due cosce niente male, perché era seduto in ginocchio sul sediolino a fianco del posto di guida. Ho detto: “Buon giorno!”, in modo secco e senza scheccare sulle vocali. Il cafone non mi ha nemmeno risposto. Dopo lunghi secondi d’attesa in cui cominciavo a pensare che non si fosse nemmeno accorto della mia presenza, tanto che in un momento di follia per farmi notare stavo pensando di sfiorargli leggermente il culo, l’unica parte del suo corpo che sporgeva dall’abitacolo a parte i piedi, il tipo si gira e ho un’epifania: non era un giovane puledro, costui che mi guardava in modo interrogativo, atteggiando le labbra a un sorriso insolente come se una marchetta gli fosse piombata gratis dal cielo in mezzo alle cosce; era una specie di demone! Uno di quelle creature infernali che si trovano solo nei paradisi popolati da diavoli come la mia terra. Doveva avere al massimo una ventina d’anni ed era di quella tipologia maschia in cui l’imperfezione diventa canone estetico e la carne parla un linguaggio che fa vibrare le mie corde più nascoste senza che possa averne il minimo controllo. I capelli molto corti, le orecchie leggermente appuntite e ben attaccate alle tempie con un che di goticamente perverso, il naso aquilino come un cameo tra gli zigomi sporgenti, aveva però questi denti bianchissimi che spiccavano tra due labbra, piene, carnose, come un frutto esotico la cui dolce polpa non sazia mai. E quegli occhi color terra che mi fissavano arroganti e furbi, con una luce un po’ maligna… Tuttavia devo dire che nel complesso non era proprio il mio tipo, voglio dire fisicamente, ma ormai non bado più alle apparenze secondo gli scriteriati luoghi comuni e ho una visione molto personale della bellezza. Era anche sporco e aveva chissà che odore sotto, ma credo che le pulsazioni del mio cuore siano cominciate ad aumentare progressivamente appena i nostri sguardi si sono incrociati. Ha preso un’arancia posata sul cruscotto, l’ha sbucciata fissandomi, ne ha staccato uno spicchio e sempre guardandomi ha cominciato a mangiarla.
– Sono venuto per farmi mettere le casse nella macchina. Hai preso solo quelle davanti o anche quelle di dietro, volevo dire… (imbarazzata, ogni parola, ogni verbo mi sembrano perdere innocenza di fronte a questo individuo, la cui arroganza mi turba profondamente) mi metti solo ehm quelle anteriori o anche quelle posteriori? –
– Te lo metto davanti e di dietro – mi ha risposto con un sorriso insinuante.
– Cosa? Credo di non aver capito co… –
– Scostati – mi fa, accompagnando l’imperativo con un gesto rozzo della mano, e continuando a sorridere in modo insinuante esce dall’abitacolo. Mi rendo conto che è più alto di quanto mi aspettassi, e sento il suo profumo d’arancio misto al lezzo di grasso e olio dell’officina. Un filo sottilissimo della polpa del frutto gli pende ad un angolo delle labbra. Vorrei pulirglielo con la lingua, ma mi fa un po’ paura, ora che è in piedi e noto che è addirittura più alto di me, che pure non sono bassina, e ha un paio di spalle più larghe del mio guardaroba invernale. Mi giro e mi avvio verso la mia macchina, precedendolo. Qui non sono sicura di come mi sia mossa. In genere quando sono emozionata la mia frociaggine erompe spontanea quanto più è stata repressa, cosicché non sono certa che in quei pochi metri in cui ho camminato con lui dietro non abbia fatto un po’ la fotomodella del suburbio. Forse è stato lì il mio errore, non sono riuscito a essere me stesso, ma soltanto me stessa… Comunque arrivata alla mia macchina, entro nell’abitacolo per prendere dalla cassetta del cruscotto il frontalino dello stereo che presumo gli debba servire per verificare la funzionalità delle casse, una volta che le abbia installate, e all’improvviso sento dietro qualcosa di duro. Da non credere, si è messo dietro di me, tangibilmente eccitato, e mi struscia il ventre sul fondoschiena!
– Scusami, vorrei uscire da qui, volevo prendere solo il frontalino dello stereo…
– Non ti muovere l’ho visto – e continua a strusciarsi. Ma che stronzo, penso fra me divertita e ormai partita persa per la tangente frocia e dimentica dei fioretti, di Sodoma e di padre Licio. Mi sincronizzo con il movimento del suo ventre fingendo di essere infastidita. Il linguaggio del mio culo ufficialmente vuole comunicare una via d’uscita, ma lo comunica in modo poco convincente, come una serratura che cerchi di disfarsi del chiavistello che la vuole aprire. Una missione impossibile che non può che favorire la sua apertura.
– L’ho visto – ripete.
– E io lo sento – gli rispondo, fingendo di essere un po’ incollerita e sfumando in un gemito da Elena di Troia la vocale finale; – lo sentooooh – ripeto. Sono curiosa di vedere il contenuto della faretra di questo Paride di periferia che mi sta rapendo alla mia castità.
– Ma che c’hai, una chiave inglese nei pantaloni? Mi fai uscire, sto scomodo! (in realtà sono già eccitatissima ma non gli voglio dare soddisfazione)
– Aspetta, fammi vedere più meglio –
– (Oddio, non avrà studiato a Oxford ma con la mazza che si ritrova può arrivare in America, secondo me.) Tesoro, non sono una cagnetta in calore che ha sedotto un pastore tedesco in astinenza da tre anni! Perché mi monti in modo così…cinico? --
– Ma quale cinema, mo’ facciamo vero altro che film…
Ammetto che il mio doppiosenso è stato un po’ infelice, visto il mio interlocutore, ma talvolta amo enunciare frasi che capisco soltanto io. Tuttavia più che pensare al filosofo Diogene in quel momento pensavo davvero ai cani che si accoppiano senza pudore. È un altro mio difetto, devo fare sempre la diva, anche in un amplesso improvvisato in cui gioco il ruolo della cagna. In effetti la posizione non è delle migliori, col busto piegato, un braccio sul volante e l’altro poggiato sul sediolino per evitare di inghiottire il freno a mano in seguito alle pressioni di questo mandrillo maleducato. E poi vorrei guardarlo in faccia. Alla fine do una botta con il culetto e lo faccio leggermente sobbalzare. Velocemente mi giro, gli cingo i fianchi e cerco di baciarlo in bocca. Sento il suo alito che sa d’arancio, quando mi dice, voltando la testa:
– No, io ste cose non mi piacciono. –
(Però ti piace tutto il resto, eh, brutto porco). È sempre così, e io che continuo a illudermi sui maschi. La mia parte virginale e permalosa vorrebbe lasciarlo in bianco, ma la mia parte puttanesca ha preso il sopravvento e se non me lo faccio ho un prolasso anale.
– Ti piace solo strusciare il tuo affare sul mio fonodoschiena. E la deontologia professionale dove la mettiamo? – (Oddio, se la metto su questo tono ne esce un trattato di etica del garzone del meccanico, invece dell’amplesso che agogno). Speravo che trovasse una posizione più adatta, ma alle mie parole questa volta è lui a imbarazzarsi. Gli metto il frontalino in mano fissandolo e una vampata di rossore gli colora il viso – dopotutto è così giovane! – e diventa ancora più intensa quando getto un’occhiata distratta da zoccola professionista all’altezza del cavallo della tuta, gonfiato in maniera innaturale da una protuberanza che sembra molto rigida. La mia voglia è stata risvegliata ed esplode sfacciata tutta la mia bucaggine. Temendo che per l’improvvisa timidezza si tiri indietro (e non lo tiri più su) gli tocco delicatamente il bozzo con il pollice e l’indice, e sorridendo in modo mignottesco gli dico:
– Ma che c’hai qui? Era questa la cosa dura che sentivo dietro? Pensavo fosse la chiave inglese (e nel pronunciare la “l” la mia lingua sembra l’interno di un frullatore). Sei proprio un mascalzoncello! Ma che intenzioni avevi? – e intanto continuo a stuzzicargli il membro dall’esterno della tuta, sempre con le due dita.
– Ti piace? – fa lui.
(No, sono solo curioso dell’anatomia maschile e la sto studiando: il cazzo, questo oggetto misterioso)
– Ce l’hai sempre così duro? –
– Lo vuoi vedere? –
(No, tienilo nascosto, potrei spaventarmi, sono più pudica di una suora in clausura)
– Caccialo tutto fuori, lo voglio assaggiare! – ( la mia troiaggine ormai non ha più limiti, caccio la lingua da fuori con un guizzo di serpe vogliosa che lascia intravedere bene il piercing e la sua promessa di metallica voluttà; noto che le sue pupille si dilatano per la meraviglia, per un attimo avrà pregustato la delizia del suo membro sottoposto al trattamento speciale che ho intenzione di fargli nella mia bocca; non mi farò nemmeno pagare perché è un fuoriprogramma e sono tremendamente eccitata da questo buzzurro. Al limite risparmierò sulla mano d’opera. La forma mentis marchettara è una mia seconda natura, quando faccio sesso collego automaticamente l’atto a una possibilità di guadagno. Non sono più una conversa, sono di nuovo Syd la perversa che la lunga astinenza ha trasformato in una strega libidinosa).
– Aspetta qui ci possono guardare. Vieni… – .
Mi precede verso il lato opposto dell’officina dove c’è un piccolo bagno con una tazza e un lavandino. Con una mano si tocca sulla patta come per saggiare incredulo lui stesso la durezza del suo membro eccitato. Con l’altra mi strattona come se fossi una bambola gonfiabile con cui divertirsi spensierato. Sono questi i tipi di cui purtroppo mi innamoro, e in questa tara psichica si rivela l’inanità della mia intelligenza emozionale, il cui quoziente deve essere prossimo a quello di una vacca con la leucoencefalopatia spongiforme che si innamora di un albero; e insieme a essa si rivela anche la mia triste sorte di squallida lavatrice delle voglie dei maschi più bastardi che mi cerco con il lanternino.
La latrina in cui il mio carnefice mi conduce per lo stereotipato e dolcissimo martirio ha delle strisce e delle macchie di grasso per terra. È illuminata da una lampadina attaccata direttamente al filo che fuoriesce dalla soffitta. Un odore di candeggina, simile a quello dello sperma, promana dalle mattonelle delle pareti e da tutto il piccolo ambiente, che non ha nemmeno una finestra, solo un piccolo buco in alto chiuso da un vetro opaco dal quale non filtra luce perché probabilmente dà su un’altra stanza. Che squallore, io che per me sognavo d’ora in poi solo amplessi in morbidi, grandi letti matrimoniali ad acqua, sommersa da petali di rose, con il mio fedelissimo principe azzurro…
– No, guarda, qua a terra non mi metto in ginocchio… –
– Non ti preoccupare – . Lesto il giovane mandrillo sale sulla tazza, si cala la tuta e le mutande (sono candide e sembrano contenere con sofferenza il suo pene) fino alle caviglie e mi ritrovo il suo coso in bocca. Sento un sapore aspro e un odore come di formaggio, il che mi indica il livello già molto avanzato della sua eccitazione. Allora dapprima gli do due tre ciucciate profonde spingendomelo tutto in gola quasi fino alle corde vocali. Tanto non ho bisogno di cantare ora, lo farò quando il mio sedere danzerà seguendo la melodia del suo flauto di carne. Devo dire che non è niente male. Anche se io li preferisco circoncisi, le dimensioni sono soddisfacenti. La lunghezza non è eccezionale, ma la larghezza è notevole, e il glande, ora che l’ho completamente scoperto, anche se un po’ sporco, mi sembra più che adatto alla mia circonferenza posteriore. Con le mani gli cingo i fianchi e poi gli metto un dito in culo abbastanza in profondità; questo è etero 100x100, è giovane ed è d’uopo perciò placare la sua eccitazione, prima che mi sborri sulle orecchie in un nano secondo; visto che ci sono ricaduta e non potrò aspettarmi chissà che performance erotica da questo inibito mezzo vergine, almeno voglio godermelo dietro per benino, altro che due botte in bocca e via. Come supponevo il ragazzo si irrigidisce per l’inaspettata penetrazione. Per non spaventarlo completamente ora gli titillo solo l’esterno dell’ano, ma lo sento in difficoltà, il membro mi si ammorbidisce sulla lingua; mi scosta la mano rudemente.
– No, così non mi piace, succhia e basta! –
Obbedisco, ma non resisto alla tentazione di odorare ciò che si è depositato sul mio dito curioso che ha sondato per qualche secondo la sua più intima profondità. Ah, che dolce profumo, mi piacerebbe leccarlo tutto lì. Glielo riprendo in bocca ma per non farlo venire subito dopo qualche stantuffamento lo risputo fuori e lo masturbo con le mani. Poi gli dico:
– Non hai capito, lo voglio tutto dentro, tutto nel mio culo! –
Glielo prendo di nuovo in bocca e glielo mordicchio fin quando emette un forte gemito. Allora scosta la mia testa dalle sue cosce pelose, mantenendosi alle mie spalle scende dalla tazza, e io assecondando le sue intenzioni al volo mi giro verso il lavandino e mi calo i jeans e le mutandine. Lui si sputa sulle mani, mi inumidisce il buco e comincia a spingere, dopo avermi sfiorato il pisello con le mani ( e certo che ce l’ho pure io il cazzo, cosa pensavi di trovare, una ciambella? Ma questo cos’è un tentativo patetico di masturbazione o una curiosità infantile per il corpo di un trav che non hai mai provato? Ma falla finita e scopami, tanto non ci sai fare!). Come se mi avesse letto nel pensiero lascia il mio cazzo al suo destino (come sempre le mie mani) e mi penetra
con giovanile foga. A un certo punto mi tira anche la coda (ma chi si crede di essere Rocco Siffredi?) e poco dopo mi sento tutta bagnata sulla schiena. Lo stronzetto è venuto prestissimo, e a me ce ne vuole ancora; gli chiedo di mettermi tre dita nel culo mentre continuo a masturbarmi per venire. Ma non ci sa fare, è come se stesse facendo un clistere a una gallina che non va’ di corpo; allora mi giro, gli prendo in bocca il coso ormai rimpicciolito ma ancora umido e glielo pulisco con la lingua. Poi ricomincio a ciucciare e quando sento che si sta indurendo di nuovo ho finalmente il mio orgasmo.
Non è stata una grande scopata, ma in cambio mi ha montato le casse gratis, come speravo. Senza dire una parola.
Bella consolazione: facendo un bilancio morale, mi è bastata una banale commissione per ritornare più puttana che mai. L’unica scusante è che non è stata completamente colpa mia, è stato lui a cominciare; certo che non è stato difficile sedurmi! Ma se mi si strusciano dietro come faccio a resistere? Sono fatta di carne anch’io, non sono un angelo e forse non lo diventerò mai, sono solo una material girl in a material world. Ed era qualche settimana che non provavo le gioie del sesso. Ma che gioie e gioie in realtà non mi sono nemmeno divertita, è stato molto squallido. Senza nemmeno il condom; fortunatamente ha avuto l’accortezza di venirmi sul fondoschiena e non dentro.
Cosa dirò domani a padre Licio? – pensavo, mentre mi avviavo a casa. E sporca e piena di peccato un’improvvisa tristezza è diventato il mio vestito per tutto il viaggio di ritorno. La radio suonava Purple rain di Prince.
Ecco che sono di nuovo una peccatrice irredenta, dunque. Che sarà di me? Riuscirò mai a cambiare? Mi vergogno tanto.
giovedì, marzo 02, 2006
QUELLO CHE MELVILLE HA TACIUTO SU BILLY BUD (decostruzione omoerotica di Syd Vicious)
Prae-scriptum: se siete interessati soltanto alla parte erotica del lavoro, andate direttamente alla sezione intitolata “capitolo 22 omissis”. Ma per apprezzare meglio l’operazione letteraria, vi consiglio di leggere il tutto dall’inizio.
il semprevostro Syd Vicious.
Non so quanti di voi abbiano letto quello che secondo me è un capolavoro dello scrittore americano Hermann Melville: Billy Bud, Foretopman (Billy Bud, gabbiere di parrocchetto). Con questo scritto però, non intendo spiegarvi le ragioni della mia valutazione positiva del racconto (lo farò, se vi interessa, pubblicando su questo sito un piccolo saggio); mi preme invece, attraverso un metodo di decostruzione, mettere in evidenza i fantasmi omoerotici presenti nel lavoro, svilupparli e scrivere quello che Hermann non ha osato scrivere, vale a dire il misterioso incontro tra il capitano Vere e il marinaio Billy Bud prima che venga eseguita la condanna a morte di quest’ultimo.
Per agevolare la fruizione della mia “integrazione”, esporrò brevemente la trama melvilliana.
Il racconto parla delle vicende che determinano la morte di Billy Bud, che esemplifica nelle intenzioni dell’autore la figura del “bel marinaio”. La vicenda si svolge su una nave, l’Indomita, nell’anno 1797, sulla quale si imbarca il nostro Billy. Chi era il “bel marinaio”? Era un tipo “invariabilmente efficiente nel suo pericoloso mestiere…più o meno abile e valoroso sia come pugile che come lottatore. Possedeva al tempo stesso forza e bellezza, e delle sue prodezze venivano narrati racconti favolosi. A terra era il campione, in mare il portavoce dei compagni; in ogni occasione si trovava sempre in prima fila. Quando c’era da far terzarolo alle vele di gabbia, in una bufera, eccolo a cavallo dei bracci del pennone, piede nella “staffa”, le due mani agli “orecchini”, come a una briglia; quanto mai simile, nel suo atteggiamento, al giovane Alessandro che doma il focoso Bucefalo. Superba figura, lanciato in alto dalle corna del Toro contro il cielo tempestoso, ballonzolava allegramente sul periglioso filo della sbarra. La natura morale di rado non s’accordava con l’aspetto fisico. Infatti, non temperate da quella, difficilmente la leggiadria e la forza, sempre attraenti quando riunite in un uomo, avrebbero potuto comandare la sorte di omaggio che il Bel Marinaio, in alcuni casi, riceveva dai suoi compagni meno dotati di lui. Tale…era l’occhiceruleo Billy Bud, o Baby Budd, come più familiarmente, per un seguito di circostanze…finì per esser chiamato, d’anni ventuno e gabbiere di parrocchetto nella marina britannica, verso la fine dell’ultimo decennio del diciottesimo secolo…Era giovane, e, sebbene la sua corporatura fosse quasi pienamente sviluppata, aveva un’aria anche più giovane di quanto in realtà non fosse. Questo era dovuto a un’espressione di adolescenza che gli si attardava sul volto, ancora liscio, d’un colorito quasi femminile nella sua purezza, ma dove, a causa della vita marina, il biancore del giglio era quasi scomparso del tutto, e il roseo doveva compiere qualche fatica per affiorare attraverso l’abbronzatura della pelle…Modellato sullo stampo tipico dei perfetti esemplari fisici inglesi, nei quali la stirpe sassone sembra non sia stata inquinata da alcun apporto normanno o di altre razze, egli mostrava nel viso quell’aria umana di tranquilla bontà che gli scultori greci han conferito in alcuni casi all’ideale eroico della forza, a Ercole. Questo aspetto era però sottilmente modificato da un’altra qualità. L’orecchio, piccolo e ben formato, l’arco del piede, la curva della bocca e delle narici, persino la mano indurita e d’un colore arancione, che faceva pensare al becco del tucano, una mano che si rivelava pratica di drizze e bagliori di catrame; ma, soprattutto, qualcosa nella mobile espressione e in ogni fortuito atteggiamento e movimento, qualcosa che pareva richiamarsi a una madre singolarmente favorita da Amore e dalle Grazie; tutto questo stranamente tradiva un’origine in netto contrasto con l’umiltà della sua sorte…era un trovatello. La razza si manifestava in lui come in un purosangue… (ma), sotto molti rispetti Billy era poco più di un onesto barbaro, molto simile, probabilmente, a ciò che si può immaginare fosse Adamo, prima che l’urbano Serpente si fosse insinuato nella sua compagnia.” In poche parole, Billy ci viene presentato come un bellissimo, forte, giovane uomo – ma ingenuo e privo di malizia. Sarà proprio il suo carattere admitico, la sua innocenza, a determinare la tragedia di cui sarà vittima. Egli infatti susciterà l’invidia di Claggart, il maestro d’armi dell’Indomita, che lo denuncerà al capitano Vere, l’altro protagonista del racconto, come orditore di un ammutinamento. Questa menzogna, in un drammatico faccia a faccia, causerà la reazione selvatica di Billy, che all’astuzia e alle retoricamente ben costruite false accuse di Claggart saprà opporre solo la sua belluina forza fisica: con un solo, violentissimo pugno, egli, che è balbuziente, risponde alle imputazioni del maestro d’armi, uccidendolo sul colpo. In un periodo storico in cui i fermenti della Rivoluzione Francese e della Rivoluzione Americana gettano la loro influenza su tutto l’Occidente, provocando ribellioni e ammutinamenti anche sulle navi della marina britannica, il capitano Vere è costretto a condannare a morte quegli che era diventato subito il suo pupillo. “…l’onorevole Edward Fairfax Vere, per dargli il suo titolo completo, era uno scapolo sulla quarantina e un marinaio degno di nota, anche in un tempo che certo non mancò di marinai celebri…(e) sebbene al momento opportuno sapesse rivelare uno spirito sufficientemente pratico, a volte sembrava come trasognato. Solo, controvento, sul ponte di comando, con una mano stretta a una sartia, restava a lungo assorto a contemplare la vacuità del mare. Allora, se qualcuno si presentava a lui per qualche affare di secondaria importanza, e così interrompeva il corso dei suoi pensieri, egli mostrava una certa irascibilità, che però controllava subito…A parte le sue qualità come ufficiale di marina, il capitano Vere possedeva una natura eccezionale. Diversamente da non pochi marinai inglesi, un lungo e arduo servizio compiuto con piena dedizione non era riuscito ad assorbirlo, a salarlo del tutto. Egli aveva uno spiccato trasporto per tutto ciò che fosse intellettuale…In questo suo amore per la lettura egli trovava una conferma dei suoi più segreti pensieri…Mentre altri membri di quell’aristocrazia cui egli apparteneva per nascita detestavano gli innovatori, soprattutto perché le loro teorie erano ostili alle classi privilegiate, il capitano Vere le condannava disinteressatamente, perché gli sembravano non solo incapaci di incarnarsi in istituzioni durature, ma altresì contrarie alla pace del mondo e la vero bene dell’umanità”.
Due dei personaggi principali sono dunque un aristocratico (il capitano Vere) e un proletario ma d’animo nobile (Billy Bud). Completa il triangolo omoerotico il maestro d’armi Claggart “un uono sui trentacinque, piuttosto magro e allampanato, ma, nel complesso, tutt’altro che brutto…Il volto poi era notevole: tutti i lineamenti, tranne il mento, erano disegnati con la precisione di un cammeo greco…A eccezione di uno solo, il maestro d’armi era forse l’unica persona, a bordo di quel vascello, intellettualmente capace di apprezzare in modo adeguato il fenomeno morale rappresentato da Billy Bud. Questa sua intelligenza non faceva che aumentare la sua passione, la quale, assumendo in lui varie forme segrete, a volte si colorava di un cinico disprezzo – disprezzo dell’innocenza. Per un uomo che non sapeva esser altro che innocente! Eppure, su un piano estetico, ne scorgeva tutto l’incanto, la coraggiosa e spensierata natura, e sarebbe stato lieto di condividerla, ma disperava di riuscirci mai”.
E’ un banale incidente quello di cui si serve Claggart per dare una ragione al suo odio istintivo nei confronti del Bel Marinaio: “A mezzogiorno la nave filava rullando con vento largo ed egli ( Billy) si trovava di sotto a tavola e stava scherzando con i membri della sua squadra quando, per un improvviso gesto brusco, sparse l’intero contenuto della gavetta sul ponte che era stato appena pulito. Claggart, il maestro d’armi, con lo scudiscio d’ordinanza in mano, passò proprio in quel momento lungo la batteria, in un recesso della quale era stata sistemata la tavola, e il liquido unto gli attraversò il cammino…quando gli accadde di notare chi fosse che aveva versato la gavetta. Il suo aspetto mutò subito. Si fermò, e stava per indirizzare qualche frase aspra al marinaio, ma seppe controllarsi e, indicando la minestra versata, scherzosamente gli picchiò la schiena con la canna, dicendogli con quella bassa voce musicale che certe volte usava: - Bravo, ragazzo mio! Bravo quanto bello. Complimenti! – Dopo di che si allontanò.”
Successivamente Claggart si reca dal capitano Vere e, con reticenza e allusioni, gli riferisce che a bordo si trova almeno un uomo pericoloso, William Budd, il gabbiere di parrocchetto che “con tutta la sua gioventù e la sua bellezza (è) uno che la sa lunga…Voi (riferendosi a Vere) avete notato solo le sue guance rosee. Ma si possono tendere insidie mortali sotto quei fiori vermigli!”.
Il capitano ascoltate le insinuazioni del livido Claggart, manda a chiamare il Bel marinaio, e lo invita a difendersi dalle false accuse del maestro d’armi che vorrebbe farlo passare per l’artefice principale di un imminente ammutinamento. Billy, che è balbuziente, stressato emotivamente dalle menzogne che lo chiamano ingiustamente in causa, non riesce a dire una parola per quanto si sforzi. “L’istante dopo, improvviso come di notte una vampa dalla bocca di un cannone, il suo braccio destro scattò e Claggart crollò per terra. Forse per una precisa intenzione, o semplicemente per la superiore statura del giovane atleta, il pugno colpì in pieno la fronte, così ben formata e intelligente, del maestro d’armi, sì che il corpo stramazzò lungo disteso, come una greve tavola che venga fatta cadere da una posizione verticale.”
Claggart muore sul colpo e “che l’infelice episodio ora narrato non sarebbe potuto occorrere in peggior congiuntura era fin troppo evidente. Da poco erano state represse delle insurrezioni e si viveva in un periodo quanto mai critico per le autorità navali, che esigevano da ogni comandante inglese due qualità non facili a trovar riunite: prudenza e severità…alla luce del codice marziale…l’innocenza e la colpa si impersonavano in Claggart e Budd, mentre nella realtà cambiavano di posto. Sotto l’aspetto legale, la presunta vittima della tragedia era colui che aveva cercato di far condannare un innocente; mentre l’indiscutibile atto di quest’ultimo, secondo il codice navale, costituiva il peggior delitto che si potesse commettere in tempo di guerra.”
Il capitano Vere, pur tormentato dal dubbio e dal senso di colpa per l’ingiustizia che sta per commettere, è costretto dopo un processo sommario a condannare a morte il povero Billy. Quello che segue, è il racconto dell’ultimo incontro in cabina dei due personaggi, il capitano e il marinaio, la notte precedente all’esecuzione della sentenza. Melville tace su quello che accade durante l’ultimo incontro. Egli ci dice solo che il capitano di sua spontanea volontà “comunicò il verdetto della corte al prigioniero, recandosi nella cabina dove era rinchiuso e ordinando alla sentinella di allontanarsi per qualche momento. Oltre alla comunicazione del verdetto, nessuno seppe mai cos’altro fosse accaduto durante quel colloquio.” L’autore quindi espone delle congetture e ci dà una indicazione importante che viene però censurata dalla sessuofobia religiosa: “Negli ultimi momenti il capitano Vere lasciò forse libero corso alla passione talvolta latente sotto un contegno stoico o indifferente…L’austero soldato, devoto ai doveri militari, lasciandosi riportare a ciò che rimane premevo nella nostra formalistica umanità, finì forse per stringersi Billy al cuore così come Abramo può aver stretto il giovane Isacco, proprio sul punto in cui stava risolutamente per immolarlo, in ottemperanza all’imperioso ordine ricevuto.” E’ da qui che deve cominciare la nostra decostruzione, che viene altresì ispirata dall’episodio finale di Vere morente, ferito a morte durante una battaglia navale: “Poco prima di morire, mentre si trovava sotto l’influenza di quella magica droga che, calmando i dolori fisici, opera misteriosamente sull’elemento più sottile dell’uomo, lo si udì mormorare parole che l’infermiere non riusciva a capire: - Billy Budd, Billy Bud -.
In opio veritas: considerando che il romanzo è stato composto tra il 1888 e il 1891, ma pur essendo stato scritto alla fine del diciannovesimo secolo è più intriso di spirito ottocentesco che novecentesco, le scarne indicazioni che ci dà l’autore sono più che sufficienti per darci un’idea di ciò che realmente accadde nella cabina tra Vere e Billy Bud, il capitano e il bel marinaio. A noi postmoderni non occorre nessun velo puritano che censuri quello che Melville sognava ma non osava scrivere e che probabilmente fu influenzato da quella misteriosa diserzione di cui fu protagonista lui stesso, con un suo compagno, quando era marinaio nel Pacifico, parecchi anni prima…Ecco quindi tutto ciò che non è stato scritto nel capitolo ventidue:
BILLY BUD CAPITOLO 22 OMISSIS
Il capitano Vere volle dare una forma materiale al sentimento che aveva sempre provato per il suo bel marinaio, dal primo giorno in cui l’aveva visto mentre prestava servizio sulla nave “Diritti dell’uomo”, e aveva contemplato le sue virili forme e quegli occhi puri e chiari come l’oceano. Il difetto della balbuzie non costituiva per il nobile uomo un punto a sfavore del fascino irresistibile di Baby Bud; la sua incapacità nel pronunziare correttamente le parole, soprattutto quando era preso da una forte emozione, aumentavano in qualche modo la sua selvatichezza, per la quale il linguaggio era qualcosa di inutile, che forse anzi stonava. Fosse stato completamente muto, la sua bellezza ne avrebbe guadagnato, aveva molte volte pensato il capitano nelle sue solitarie meditazioni: la capacità di parlare era qualcosa che non aggiungeva nulla alla sua maschia bellezza di angelo del mare. Il fatto che sarebbe stato giustiziato fra poche ore, acuiva ancora di più la percezione della sua bellezza, perché era destinata a scomparire da lì a poco, con il suo corpo, tra i flutti dell’oceano. E il giustiziere era egli stesso, lo stellato Vere, che preferì non domandarsi se in questo modo puniva un reato effettivo, l’uccisione di Claggart, o il sentimento che il bel marinaio aveva suscitato in lui. Il casto abbraccio di Adamo tosto si mutò in una irrefrenabile voluttà, che il corpo caldo e palpitante di Billy accendeva con movimenti lievi e sensuali. Sua Eccellenza Edward Fairfax Vere, intrepido fino alla temerità, perse tutto il suo buon senso, lo stesso buon senso che aveva permesso che fosse nominato capitano di vascello dopo la vittoria decisiva su De Grasse. Lo stesso buon senso, anche se nella circostanza appariva vile e in contrasto con la passione che lo tormentava e che non aveva mai osato confidare ad alcuno, forse nemmeno a se stesso, che lo aveva spinto senza pietà a condannare a morte l’uomo di cui si era invaghito dal primo momento in cui vi aveva posato gli occhi. Egli doveva pensare alle sorti della marina britannica, e non poteva sottomettere la sua lealtà verso l’impero alla sua ormai irrefrenabile passione. Non sarebbe mai dovuto entrare nella cabina dell’innocente assassino, ma i suoi sensi di colpa lo spingevano a vedere ancora una volta la vittima della Legge che così draconianamente aveva dovuto applicare. Preso da un’improvvisa furia dei sensi, forse esaltati dalla prossimità della morte del suo amato, posò d’un tratto durante il biblico amplesso le sue labbra pregne di desiderio sui riccioli d’oro di Billy, poi sugli occhi cerulei e dolcissimi, infine sulla stessa bocca turgida e bagnata del giovane uomo il cui destino era ormai segnato. Le loro lingue si cercarono e finalmente si incontrarono e così i loro occhi, guizzanti e voraci, si scontrarono come due torpedini durante un temporale. Il capitano riacquistò un minimo di lucidità dopo il bacio appassionato, ma questa lucidità così faticosamente riconquistata gli servì solo per dire: - Non c’è fretta ragazzo mio, fai con calma. C’è ancora tempo…- Contrariamente all’effetto che si proponevano, queste parole causarono sforzi ancora più violenti nella dimostrazione del sentimento che Billy provava: anche lui si era invaghito del bel capitano, e la manifestazione del suo desiderio si mostrò con un’erezione violenta, che Vere subito avvertì sul suo ventre già eccitato. I due amanti si spogliarono nudi e si distesero l’uno sull’altro nello stretto e duro giaciglio che offriva la cabina. – Mio caro angelo - , mormorava il capitano, - sapete che devo condannarvi nonostante sappia che siete innocente -
Non m’importa capitano, io so quello che provi, me lo stai dimostrando. Taci, non pensare al dopo, pensiamo a noi…ti voglio dentro di me…- Per un miracolo del furore dei sensi, Billy aveva perso la sua balbuzie ed era riuscito ad esprimere chiaramente tutto il suo desiderio; ma più espressive ancora furono le sue labbra sensuali, quando alzatosi dalla posizione in cui stava si mise il capitano di fronte, in ginocchio, e cominciò a baciarlo sulla fronte, sulla bocca, sul collo, e poi cominciò a scendere giù, lentamente, leccandogli il collo e poi i capezzoli, e ancora più giù seguendo la folta striscia di peli bruni che dal petto cadevano sull’ombelico. Vere gemendo gli stringeva la testa delicata carezzandolo, e quando con la lingua cominciò a lambire il membro durissimo ebbe un sussulto. L’uomo che era stato costretto a condannare a morte sembrava volesse succhiargli l’anima, e un piacere così intenso non lo aveva mai provato prima…la lingua di Billy, come se fosse consapevole che quella era l’ultima carne che avrebbe lambito, accarezzava con foga quel membro eccitato e lo ciucciava, come un bambino un po’ triste avrebbe ciucciato il proprio pollice. Al massimo dell’eccitazione, il capitano fece girare il bel marinaio, si umettò con la saliva la verga vogliosa, e lentamente, baciando il suo coffiere sulla nuca e carezzandolo e rassicurandolo, gemendo rocamente cominciò a penetrarlo. Il marinaio favoriva i movimenti sodomitici del suo superiore accogliendone dentro di sé la carne vibrante di desiderio, e i due corpi si muovevano in sintonia come se volessero istintivamente assecondare i movimenti del mare. Insieme, il carnefice involontario e la vittima innocente, costituivano un unico essere che palpitava celebrando gli ultimi scampoli della sua giovane vita: quando Billy sarebbe stato impiccato, Vere avrebbe perso la sua metà fortuitamente trovata, e vivere non avrebbe avuto più senso per lui. Avrebbe coperto il suo imminente suicidio con un atto di eroismo, ligio anche nel suo estremo sacrificio all’onore della marina britannica: la sua morte non sarebbe stata inutile come quella del bel marinaio. Egli conosceva l’antico mito greco, secondo il quale ogni essere è alla ricerca della sua metà dal quale gli dei lo avevano separato in origine; non aveva dubbi che l’avesse trovata in Baby Bud, e il fatto che presto avrebbe dovuto perderla, e per una sua ineluttabile decisione, della quale per di più era egli stesso il maggiore responsabile, ammantava il suo destino di un colore tragico. La morte eroica in battaglia sarebbe stata l’espiazione della propria colpa, e il suo straordinario senso della lealtà nei confronti della patria non ne sarebbe stato leso, anzi avrebbe trovato un’occasione d’oro per manifestarsi in tutta la sua magnanimità. Egli stoicamente si riteneva fortunato per aver avuto la possibilità di completare sé stesso anche se per pochissimo tempo, e ringraziava Iddio in cuor suo per questo privilegio, consapevole del fatto che nella maggior parte dei casi gli esseri umani restano dimidiati e incompleti per tutta la loro vita, o peggio sono costretti a condurla con la metà sbagliata che ha concesso loro la sorte. Questi erano i pensieri che turbinavano nel cuore dell’ufficiale: d’una melanconia gioiosa che solo apparentemente era in contrasto con il piacere immenso che provava nell’essere dentro il suo amato; talvolta il pensiero della morte imminente acuisce ogni tipo di sensazione e la esalta in maniera parossistica. Sentimenti contraddittori invece di annullarsi si fondono insieme in un godimento che raramente è concesso agli uomini e che doveva essere caratteristico degli antichi Romani quando celebravano i loro riti bacchici: amore e morte danzavano insieme nell’animo del capitano il quale mai, come in quel momento, si era così completamente abbandonato su di un altro essere umano. Contemplava quelle natiche sode e muscolose, quel dorso perfetto, quei fianchi virili che sussultavano sotto i suoi colpi ma che sembravano pronti a riceverne altri e ancor più potenti, ricoperti di una carne ambrata e fresca, tanto che avrebbe potuto essere quella di suo figlio.
Billy invece aveva dimenticato tutto: Claggart, la condanna a morte, la sua innocenza; si abbandonava al piacere che Vere gli dava e che prima non aveva mai provato e si sentiva onorato per il desiderio che il superiore dimostrava nei suoi confronti. Aveva avuto commercio carnale con altri uomini in passato, come usa tra i marinai di tutte le nazionalità, ma non era mai stato penetrato dietro. Le sensazioni che provava erano ineffabili e il piacere così intenso che desiderava che quel movimento dentro la sua calda cavità non cessasse mai. Prono, con le sue mani cercava di carezzare, curvando le braccia all’indietro, il ventre di Vere, suggerendogli dolcemente quando dovesse rallentare i movimenti e quando dovesse accelerarli, graffiando lievemente il suo ombelico quando la passione del superiore diveniva ferale contagiandolo, rimanendo immobile e gemendo quando il piacere era così intenso da sopraffarlo. Ad un certo punto si sentiva immenso come l’oceano, mentre percepiva l’ufficiale come una nave impetuosa e dolce che decisa solcava le sue onde di carne. Dentro di lui era la Marina britannica che esprimeva tutta la sua violenza prevaricatrice, e si sentiva come la bandiera di un vascello glorioso nel mezzo della più cruenta delle battaglie.
- Ah capitano, mio capitano - gemeva, mentre la verga dell’ufficiale sprofondava sempre più nello spazio umido e caldissimo fra le due cosce divaricate; piano piano Billly era riuscito ad alzarsi e a reggersi sulle ginocchia, facendo forza sulle sue braccia che aveva dovuto riposizionare in modo naturale dacché si era stancato pel movimento lungo il ventre piatto e rigido del suo superiore. Il capitano aveva dovuto estrarre per qualche momento il membro fremente e durissimo, dal glande umido e ormai violaceo, e poi lo aveva inserito di nuovo con un paio di colpi decisivi. Adesso Billy si sentiva un cane fedele disposto a dare la vita pur di soddisfare la voglia del padrone crudele e ginocchioni cercava faticosamente di assecondare, ormai stanco e fuori di sé dal piacere e dal dolore, i colpi d’anca del capitano la cui voglia titanica sembrava ancora lungi dal placarsi; ma bastarono ora pochi movimenti e finalmente raggiunsero insieme l’apice del piacere: dopo un tempo che era sembrato infinito, il desiderio di Vere esplose in una spuma vischiosa nello stesso momento in cui l’occhiceruleo Billy bagnava le dita affettuose del suo capitano che contemporaneamente lo penetrava e carezzava la sua rigida asta, con una mano, mentre con l’altra tirava i suoi biondi capelli quasi volesse strapparli, fino a torcergli il collo per il lungo bacio finale. I loro corpi umidi per gli umori che si erano reciprocamente scambiati giacquero infine, dopo che ebbero completamente goduto, l’uno sull’altro, con i membri che sembravano ancora cercarsi nonostante avessero espulso tutto ciò che c’era da secernere, come code di lucertole guizzanti che siano state amputate dal resto del corpo e ancora siano scosse da rapidi movimenti quasi fossero vive. Il lungo bacio suggellò il placarsi dei loro sensi furiosi e le onde del mare furono le uniche testimoni del loro amplesso e il sacro oblìo, che segue sempre alla più divina magnanimità, coprì infine tutto provvidenzialmente.
Syd Vicious
ricordo che gli altri miei racconti su questo sito li trovate:
1) scendendo in basso lungo questa pagina fino a raggiungere il post di sabato 22 ottobre 2005 (I ragazzi napoletani sono i più saporiti d’Italia);
2) in archivio alla data 10/7/2005 (Avventura a Nouakchott).
Buon divertimento!
sabato, dicembre 03, 2005
IL TRIANGOLO (genere erogeometrico)
giovedì, dicembre 01, 2005
SETTE TESI SUL RACCONTO EROTICO (MANIFESTO DEL RACCONTO EROTICO DI EROS DIONISI)
Un racconto erotico che non raggiunga questi due scopi o almeno non se li prefigga, non è un racconto erotico, è qualcosa d'altro.
Il termine "pornografia" è un'invenzione di biechi moralisti che esprime solamente la condanna ipocrita della sessualità. Le cose pornografiche in questo mondo sono lo sfruttamento e le guerre.
Un'altro pregiudizio, sul quale si fonda la distinzione pretestuosa tra le due categorie di erotico e pornografico, è quello secondo il quale il romanzo erotico allude e il romanzo pornografico esplicita. In realtà il sesso è artistico di per sé e un'allusione erotica è pornografica quanto una descrizione esplicita: la realtà dell'atto non vede compromessa la sua oggettività da un allusione o da un riferimento esplicito: in soldoni, che tu alluda al cazzo o lo nomini direttamente, comunque ti riferisci ad una scopata ed è questo l'elemento essenziale; il resto sono fisime da farisei.
Non ci sono limiti all'enunciazione scritta delle proprie fantasie, perché il racconto erotico, per consensum gentium, si rivolge ad un pubblico adulto.
Lo scopo del racconto erotico è duplice: catartico per il narratore e funzionale all'orgasmo per il fruitore.
Il racconto erotico attualmente è l' unico genere letterario dal quale un essere umano possa trarre una qualche utilità.
mercoledì, novembre 30, 2005
Quando me ne andai da scrivipuntocom
Mentre la barchetta del mio ingegno risale il fiume della varia umanità, il mio sguardo volge con nostalgia all’isolotto che finalmente abbandono; è difficile non sorridere, contemplando oziosamente tutti gli strani personaggi con i quali ho interagito durante il mio soggiorno in questo sito. Ebbi nemici iniqui e pervicaci nella loro invidia: con la sferza della mia arte linguacciuta e dispettosa li misi a tacere, creando al di là delle intenzioni odii eterni; mi occupai di storielle erotiche, in forma di caramelle amare, fatto di un miele che ad un primo assaggio poteva contentare solo il bruto, ma assaporate con intelligenza, rivelavano sempre un segreto messaggio, un richiamo per intenditori: oh la mia arte che farò svanire, ma saranno altre magie.
Fui critico d’arte – spiegavo la differenza tra erotismo e pornografia: il nulla, questa era la differenza e non volevano capire.
Scrissi qualche poesiola, che sembrava portare in alto il cuore del lettore, e poi lo precipitava giù – e lui diveniva disilluso e feroce. Mi dilettai un po’ con l’aretinata, un componimento poetico di sberleffo, realistico e legato all’attualità, con il quale finivo col battere sempre sullo stesso chiodo, un chiodo fisso insomma…
Composi anche un saggio, che suscitò disprezzo e anatemi da parte della comunità di rozzi babbioni che mi aveva accolto, perché toccavo alcuni argomenti pruriginosi. La loro falsa coscienza contiene già in sé la loro stessa condanna. Io indicavo la luna, e loro guardavano il dito - e avrebbero voluto misurarlo persino!
Ma l’evento decisivo che segnò la decadenza di scrivi.com fu l’arrivo delle bas-bleu, petulanti sacerdotesse di una scrittura femminile che pretende di essere intelligente solo perché c’ha una sua sozza corte di lacché, incapace di accettare la più innocua critica che possa scalfirne il minuscolo io…
A queste io dissi: puh! Schifo! Schifo! Schifo!
Addio, sitaccio, abbiamo camminato insieme, hai mangiato al tavolo della mia arte, imbonito con cibi spesso aromatizzati da spezie piccanti…ti ho difeso da volgari denigratori e gradassi della vanità, cacciando fuori la spada della mia retorica fulminante, che come freccia colpisce all’improvviso da lontano. Conobbi, grazie a te, persone autentiche, che mi seguirono nella scelta di rendere vere le fantasie che giocavano nell’inchiostro, e di dare loro una realtà fatta di carne, sudore e infine gioia – racconterò forse un giorno queste storie…
Addio e un sorriso come una dolce brezza si spande sul mio viso…sarà forse una risata…per quanto e come mi sono divertito…devo parlarvi di notti, lunghe notti d’inverno quando l’amico sole e il mare diletto erano lontani, e di quale dolce compagnia fosse scrivi quando non avevo sonno, perché fuori il vento ululava? E del piacere cattivello di irridere gli stolti che restavano irretiti nelle maglie della mia magia, come se i loro nick fossero persone reali - ah ah ah essi erano divenuti i loro nick!
O delle consapevolezze e sensibilità che ho aiutato a maturare,
delle persone alle quali ho cambiato la vita donando loro piccoli segreti mercanteggiati con amore, il più puro perché disinteressato alla riproduzione?
Ho creato storie reali muovendo fili virtuali, talvolta come un sapiente burattinaio, altre volte con la gioiosa inesperienza del dilettante, i risultati furono sempre soddisfacenti per il mio orgoglio e la mia lussuria. Ora vado. Vado ad espiare, vado a purificarmi da questi miasmi: est tempus in vitiis…
Addio sito, dove spontanea esce la confessione da un peccatore da poco, che dovrà espiare la condanna del suo genio carnale tramutandola di nuovo in verità: corpo c’è scritto sopra e il corpo ha un solo sesso. Giovani uomini e giovani donne mi aspettano in festosi consessi d’amore, dove io celebrerò il rito quale sacerdote del nostro dio, il dolce Bromio che scioglie le membra ai mortali.
domenica, novembre 27, 2005
GRAZIE, ZIO! (racconto etero) di LILY
Mi era sempre piaciuto mio zio Claudio, trentanovenne separato con figli a carico e due spalle nerborute che quando vi salivo da bambina mi sembrava davvero di stare su un cavallo... fu durante uno di questi giochi che mi si bagnò per la prima volta la mutandina - da allora collegai ogni sensazione piacevole che provavo nella zona genitale al collo e alle spalle di zio Claudio. Egli dormiva da solo nella stanza al piano di sopra della villetta, e quella notte, frustrata dalla delusione della pineta e non riuscendo a placare in nessun modo la mia eccitazione, decisi di andargli a fare visita. Con il fiato sospeso salii le scale coperta sola da una vestaglia e portando con me Giumpy, l’orsacchiotto di peluche dal quale ero inseparabile. La porta della stanza era socchiusa. Inspirai fortemente con il naso e finalmente entrai nella stanza senza far rumore, accostando la porta alle mie spalle. Mio zio dormiva con la finestra aperta coperto solo da un paio di slip; notai la luna piena che mi permetteva di distinguere la sua figura in quella stanza buia. Era steso su un fianco e la testa poggiava su una delle due braccia. Mi misi in ginocchio ai bordi del letto e cominciai a contemplare quel corpo prestante, senza un filo di grasso. Non resistetti alla tentazione di sfiorare con i polpastrelli delle dita quel ventre piatto e muscoloso, di sfiorare quella peluria virile che lo ricopriva. Non potevo trattenermi dal pensare alla faccia di mio padre, qualora mi avesse sorpreso a fare un cosa del genere! E mia madre, poi! Mi avrebbero cacciata di casa, rinnegata come figlia... e io magari sarei stata costretta a convivere con lui... no, non me lo avrebbero mai permesso: è mio zio!, pensavo, e tuttavia questi pensieri invece di distogliermi dal compito che avevo intrapreso, mi eccitavano ancora di più. D'un tratto nel sonno lo zio cambiò posizione e si mise prono, come se volesse nascondermi le sue grazie, il misterioso tesoro che doveva avere negli slip. Toccai lievemente le sue spalle nerborute, e mi venne la tentazione di strusciarvi sopra la passerina; poi decisi di non farlo perché sicuramente lo avrei svegliato. Baciai dolcemente quelle forti spalle che mi avevano sempre sostenuto nei nostri giochi e allo stesso tempo mi avevano dato tanto piacere tra le gambe. Subito cominciai a bagnarmi; lo carezzai ancora sulle natiche sode: mi sarebbe piaciuto mettere la mano dentro lo slip e con le dita esplorare il suo ano, quando ad un tratto di nuovo si voltò nel sonno e si mise supino. Adesso attraverso gli slip potevo distinguere meglio le proporzioni del suo pene, che floscio era quanto quello di Massimo in erezione. Poggiai le mie labbra sugli slip, e sentendo il suo odore maschile trasalii, ma subito dovetti discostarmi perché aveva cambiato nuovamente posizione. Doveva fare sogni parecchi movimentati quella notte! Decisi che sarebbe stato mio. Abbassai piano piano gli slip; poiché ora era nuovamente disteso sulla schiena, riuscii a scoprire solo la parte anteriore: mi trovai così di fronte d un bel membro di uomo, e la cosa che più mi colpì fu la cappella bruna, tornita, che mi ricordava un fungo e che velocemente si ingrossava non appena la prendevo tra le mie dita: lo zio era circonciso! Giocai per un po’ con questa cappella . Appena il membro si ingrossava mollavo la presa e poi ricominciavo, fin quando l’asta divenne durissima e non accennava più a sgonfiarsi. Intanto una secrezione bagnava il glande eccitato; con la punta della lingua assaggiai il sapore pungente... mi sembrò di sentire un lieve gemito... forse si stava svegliando... A quel punto mi abbassai le mutandine, e mantenendo l'uccello con la mano, a cavalcioni di mio zio cercai di ficcarmelo dentro. Ma non ero capace di mettermelo, mi sfuggiva sempre sul più bello; inoltre ero un po’ impedita nei movimenti, perché temevo di svegliarlo. All’ennesimo tentativo mio zio all’improvviso sembrava stesse per aprire gli occhi. "Lily... Lily che stai facendo?" mi disse mezzo assonnato. "Zietto vogliamo fare il cavalluccio sul letto?" risposi prontamente con aria innocente, e intanto strusciavo la mia passeretta sulla sua cappella gonfia... ebbi l'impressione che si fosse addormentato di nuovo, perché ora aveva gli occhi completamente chiusi e mi sembrava che non respirasse; forse fingeva solo per l'imbarazzo, il coglione non vuole assumersi la responsabilità dell'iniziazione sessuale della nipotina, pensai. Intanto però sentivo il suo pene prepotente che cercava i miei buchi, e dopo un falso tentativo in cui la grossa cappella mi stava entrando nell'ano, finalmente riuscii a trovare la strada giusta per mettermi dentro quel membro caldo, e soffocando un grido di dolore mi accorsi che il glande almeno finalmente doveva essere entrato nella passera. Tutto qui, pensai? E la fanno così lunga, con questa storia della verginità! Pensavo che avrei sentito molto più dolore! La fica intanto mi si era bagnata; più che il sangue prodotto dalla lacerazione del mio imene, che in realtà non doveva ancora essere avvenuta, poiché non avevo sentito alcun dolore, dovevano essere le secrezioni con cui la mia vagina eccitata cominciava ad autolubrificarsi. Non provavo nessun piacere particolare, avevo questo caldo pezzo di carne dentro di me, e il fatto che appartenesse a mio zio cominciava a farmi sentire un poco strana... in verità mi faceva sentire molto porca... avrebbe potuto essere mio padre, voglio dire, oltre vent'anni di differenza... cercai di levarmi la sommità dell'asta da dentro per decidere che cosa fare; dopotutto pensavo che quando avrei perso la verginità ci sartebbe stato un minimo di collaborazione da parte del mio partner. Ero in una posizione che mi affaticava molto, perché nella mia vagina per adesso avevo solo la grossa cappella, e il pene non mi riusciva di ficcarlo tutto dentro, come se ci fosse un ostacolo, un qualche impedimento... Forse fui un po’ brusca nei movimenti, comunque fu un colpo di fortuna perché mio zio si svegliò di colpo e trasalì: anche lui fece un movimento brusco a causa della sorpresa, e il risultato fu che finalmente mi ritrovai il suo coso tutto dentro; questa volta il dolore fu un po' più forte, e mi scappò un gemito. Ma il piacere che provai quando finalmente il suo ucccello fu tutto nel mio caldo nido! Una sensazione ineffabile che mi faceva palpitare tutta...finalmente avevo raggiunto il mio scopo! Prima non doveva essermi entrato nemmeno il glande completamente: le mie amiche mi avevano detto che appena entrava il glande era fatta, ma invece io non sentivo niente. Da stupida inesperta dovevo essermi solo strusciata sulla sommità della calda cappella. Ora sì che lo sentivo dentro e avevo anche la sensazione che ni si fosse lacerato qualcosa... tuttavia dovevo ammettere che era piacevole quel pezzo di carne caldo che avevo intrufolato con tanta determinazione nella mia intimità. Però era un momento molto imbarazzante: io con il pene di mio zio nella vagina e lui appena sveglio. Con aria innocente gli dissi:
"Zio volevo solo giocare al cavalluccio, ma all’improvviso il dito che hai fra le gambe è cresciuto e mi è entrato dentro e ora non riesco più a levarlo."
E frignando un po’:
"Aiutami zio ti prego, liberami, altrimenti Giumpy, il mio orsacchiotto, piange! Guarda, non riesco a liberarmi..."
E intanto mi muovevo su e giù e lo cavalcavo con grande gioia di entrambi. Il dolore era quasi scomparso, e con piacevole sorpresa mi accorsi che il più piccolo movimento con quella verga dentro si traduceva in un godimento mai provato prima. Mio zio intanto, recuperato il suo sangue freddo, visto che ormai la nipote se lo stava scopando, decise di continuare il gioco fino in fondo. Soffocando i gemiti mi sussurrò:
"Vedi Lily...aah..quando il dito si fa grande non esce...uuh... piuuù"
"Ma cosa dici, zio?"
"L’unica soluzione e farlo diventaaah re un’altra volta piccoohlo"
"E come si fa?" risposi io, piccola troia, continuando a cavalcare.
"Continua cosiiiì, continua ti staiii muovendo bene".
Provavo una folla di emozioni sempre più intense, man mano che la dura asta di mio zio mi trapanava con un insistente movimento ondulatorio e sussultorio allo stesso tempo… un terremoto dentro il mio ventre da lungo tempo voglioso le cui scosse cercavo di assecondare avvolgendo con le mie viscere quel caldo membro che sembrava quasi una cosa viva, che pareva qualcosa di autonomo, che ormai non apparteneva più nemmeno a mio zio, del quale nella penombra scorgevo il volto estasiato: era quel membro di uomo che avevo desiderato da tanto tempo, altro che la ridicola e precipitosa appendice di quello sfigato di Massimo, che mi faceva sì tanta tenerezza e che forse un po’ amavo, ma che non mi avrebbe mai scopata!… Adesso non volevo fermarmi più, avrei voluto continuare per sempre, avrei voluto ritardare al massimo la violenta esplosione grazie alla quale il seme di mio zio immaginavo mi schizzasse fin dentro l’utero… sì, volevo sentire gli schizzi di sperma molto dentro, avrebbero bagnato l’orgasmo formidabile che dai piedi cominciava a salire lento e deciso fino allo stomaco… rallentavo i movimenti dei fianchi per aumentare la resistenza di mio zio, che capì la mia intenzione e mi assecondava in questa cavalcata, che in fondo conducevo io, piccola e disinibita valchiria, aumentando e diminuendo il ritmo con i fianchi… ormai la passeretta si era così ben adattata a quel membro, che lo avvolgeva perfettamente, e lo controllava: ero io adesso che potevo scegliere il modo migliore di sentirmelo dentro, non era più quel muscolo frenetico che temevo difficilmente di controllare; mio zio si stava estenuando… sentii il suo pene come il suo corpo sempre più caldo e mi resi conto che presto avrebbe eiaculato. Ricordai con sgomento di non aver preso nessuna precauzione, e ormai non avrebbe avuto più senso prenderne… A quel punto mio zio mantenendomi per i fianchi cominciò a sbattermi sul suo ventre. Era lui che conduceva il gioco di nuovo. Dopo tre o quattro movimenti un po’ più rudi, disse: “Voglio venirti in bocca, piccolinaaah… meglio così: potresti rimanere iiincintaa…"; in un attimo con le sue forti braccia mi alzo’ disincastrandomi dal suo pene, mi prese la testa fra le mani e me lo sentii esplodere in bocca… continuai a succhiare perché il piacere era così grande che volevo non si fermasse più: ebbi il mio primo orgasmo mentre l'uccello di mio zio mi dissetava con abbondanza di sperma. Ingoiai i primi schizzi, poi ebbi lo stupido timore di essere soffocata dalla violenza del getto e mollai la presa per un attimo; uno schizzo finì sull'orecchio dell'orsacchiotto, ma mio zio con una certa rudezza mi abbassò di nuovo la testa spingendola sul suo cazzo, facendomi capire che voleva essere succhiato fino all'ultima goccia. Allora lesta lo ripresi in bocca, e lui con un paio di forti colpi di bacino me lo spinse in gola come se avesse voluto schizzarmi fin dentro lo stomaco... il suo seme aveva un sapore amaro e un odore molto intenso. Esausta caddi sul suo fianco, e dopo avergli messo la lingua in bocca lo salutai dicendo...
(lo zio) - Tuo zio ti fa tanti auguri per i tuoi diciotto anni, Lily!
(la mamma) - Ma a che cosa stai pensando? Le candeline sulla torta le hai spente... non dici niente a zio Claudio che ti ha appena fatto gli auguri?
- Grazie, zio!
sabato, ottobre 22, 2005
I RAGAZZI NAPOLETANI SONO I PIU' SAPORITI D'ITALIA (racconto gay) di SYD VICIOUS
Il vostro Syd Vicious
Avevo una serie di faccende da sbrigare nel centro storico quella mattina di giovedì scorso. Non avrei mai immaginato il risvolto erotico che avrebbe caratterizzato il resto della giornata. Mi ero alzato alle 7 e 30, già innervosito per la sveglia di buon’ora dopo una notte trascorsa in buona parte a chattare, nella speranza di conoscere nuovi amici; sono già quattro mesi che sono single dopo una breve storia che ha avuto il solo merito di riattizzare le mie voglie sessuali, dopo che mi ero ripromesso di trascorrere un periodo di sana castità, sfociato ignominiosamente in una sequela di seghe vertiginose guardando gli splendidi stalloni che mostrano i loro attributi free sulla rete; non uscivo più di casa se non per le necessità fondamentali, vale a dire la spesa e il barbiere una volta alla settimana. Dopo essermi licenziato dal lavoro part-time che svolgevo presso un anziano e laido rigattiere, che si mostrava più interessato a toccarmi le cosce che a svolgere i suoi miseri affari, avevo deciso di farmi sfruttare da un’agenzia pubblicitaria. Infatti, malgrado la mia laurea, non si trattava di un lavoro prestigioso: dovevo distribuire volantini per la strada. Lavoro sempre part-time, prospettive per il futuro zero; era solo per tirare avanti nell’attesa di giorni migliori, quelli in cui sarei riuscito a piazzare presso qualche produttore "sensibile" il porno casalingo che avevo girato con mezzi di fortuna, il quale aveva come star un nigeriano del Casertano che si era stufato di fare lo stagionale come raccoglitore di frutta. Secondo me si trattava di un buon film, anche se di genere etero. Avevo fatto tutto io, avevo scritto persino la sceneggiatura, incentrata sulla storia di questa casalinga che vive con un anziano marito contadino, in un rustico immerso nella campagna, e questo mandingo che dà una mano di giorno al marito nella terra e il cazzo alla moglie di notte nel fienile. Il magnifico membro del nero era appropriato al genere cinematografico, e le troppe inquadrature che gli avevo dedicato stavano modificando il soggetto del film, che avrebbe dovuto intitolarsi “Schiavo superdotato per padrona vogliosa”, in un’opera che sarebbe stato più opportuno chiamare “Il pene delle meraviglie”… Ma sto divagando e non voglio annoiarvi con le mie velleità artistiche; e alla fine avevo imparato a conoscere quel pene così bene, inquadrandolo in tutte le posizioni e utilizzazioni, che mi aveva anche un po' nauseato. Oltretutto non ci fu possibilità di andare al di là dei rapporti professionali perché l’attore era abbastanza limitato: sosteneva che gli piaceva solo la fica; poverino, non sapeva cosa si perdeva!
Dunque, dopo queste vicissitudini artistiche, peraltro senza riscontri economici, mi ero dedicato al volantinaggio per guadagnarmi il pane quotidiano. E quella mattina mi recavo nella mia postazione al centro storico, nel cuore di Napoli. Zona di studenti universitari e di borghesia media e medio-alta mischiata con proletari (come solo a Napoli), qualche immigrato, parecchi fuorisede, molti turisti stranieri e allegre scolaresche in visita per la città. Ripensandoci ora, già all’uscita della metropolitana qualcosa doveva aver solleticato il mio sub-cosciente, perché avevo intravisto questo ambiguo manifesto di un bel ragazzo, sicuramente del posto, con lo sguardo torvo, un numero della tombola in mano e sotto la scritta ambigua “ ‘o cazone”, che per somiglianza fonetica mi aveva immediatamente fatto pensare a un membro di dimensioni abnormi (un cazzone!). In effetti in napoletano con il termine "cazone" si designano semplicemente i pantaloni, tuttavia bastava una zeta in più per immaginare qualcosa di ben più interessante: il tesoro che possiedono tutti i maschietti, che fin quando è avvolto nella stoffa dei jeans ed è imbracato nelle mutande, è soffuso di mistero; confesso che sovente, con circospezione, il mio sguardo cerca di indovinarne forme, dimensioni e movimenti nel gioco delle pieghe dei pantaloni, e quando un ragazzo si tocca lì spensieratamente, abitudine inveterata in questi luoghi, gesto strafottente e allo stesso tempo apotropaico eseguito con non so che stoica indifferenza, un brivido di emozione mi scende dalla nuca, attraverso la spina dorsale, fino al bacino.
Per questo amo passeggiare per le strade di Napoli. E poi come ti guardano i ragazzi napoletani non ti guarda nessuno! Sguardi che possono essere di curiosità, di interesse, di vorrei ma non posso, sguardi mariuoli, sguardi che affatturano, sguardi di figli di puttana, sguardi che ti fanno immaginare tutto e il contrario di tutto perché, anche se tra sconosciuti, semplicemente camminando ci si lancia queste occhiate che durano molto più di semplici occhiate, come dire, di convenienza. È una specie di saluto che fa parte della nostra educazione ancestrale e uno sconosciuto incontrato per caso che non ci guarda negli occhi lo riteniamo un maleducato e un infido.
E vogliamo parlare della bellezza di questi ragazzi, che non hanno bisogno di palestre per i loro corpi naturalmente flessuosi e seducenti? Le loro andature provocanti, il loro muovere le mani, i loro sorrisi, il loro gesticolare, le tonalità vivaci della lingua natìa talvolta capace di eccitarti solo con il suono delle parole… purtroppo queste autoctone virtù si stanno perdendo con la colonizzazione. I modelli di riferimento diventano sempre più gli squallidi settentrionali, i quali a loro volta sono stati colonizzati dagli Americani, specialmente tra le classi più alte. Tuttavia, anche in queste classi, non è raro trovare a Napoli ragazzi che curano il loro aspetto secondo criteri metrosexual senza perdere quella spontaneità “popolare” che fa parte del loro dna; lo si vede dagli occhi che conservano vivissimi a differenza di coetanei di altre città che sembrano statue che sfilano con lo sguardo perso chissà dove, come zombie privi di personalità che spiccano al massimo in un asettica fotografia, nella quale però si perdono espressioni, odori, profumi, emozioni. Questo tipo di ragazzo napoletano, anche se presente un po’ in tutta la città, sembra prevalente nel centro storico, forse perché vi è una grande concentrazione di scuole superiori e di università, dove si mischia con altri esemplari normali e ragazzi "del popolo". Quella mattina di giovedì ero molto stanco: avevo fatto fatica a sbarazzarmi di tutti i volantini, ai quali nessuno sembrava interessato; il clima era cubano, un caldo umido con scrosci improvvisi di pioggia che rendeva tutti nervosi e scostanti. Si era fatta ora di pranzo e decisi di rifocillarmi in una rinomata pizzeria con una semplice e gustosa margherita per riconciliarmi con me stesso e con la città inusualmente distratta; nella pizzeria oltre a me c’erano solo due ragazzi e una ragazza, una piccola comitiva che giudicavo dovesse essere composta di matricole di qualche facoltà scientifica, in base ai loro discorsi e ai libri gettati sul desco aggettante il muro, sul quale con pochi euro potevi gustarti qualcosa di buono e una bibita senza pagare il servizio, osservando a un paio di metri di distanza la preparazione e la cottura a forno della stessa. La margherita è un cibo geniale e afrodisiaco: pochi ingredienti compongono una pietanza che ti seduce per la forma e la composizione e ti risolve il problema del pranzo o della cena: la mozzarella di bufala filante come sperma condensato e lascivo, la polpa di pomodoro come sangue raggrumato e profumato, la pasta tenera come la carne di un adolescente: è senz’altro il cibo degli dei e uno degli elementi che contribuisce alla nobiltà del nostro popolo. Mentre attendevo impaziente la cottura, era entrata un’altra ragazza della piccola comitiva, ma non c’era posto per lei vicino ai compagni perché io avevo occupato l’unico disponibile. La consumazione che aveva ordinato era già pronta, sicché con un gesto di stizza si era spostata dall’altro lato del muro dove c’erano un paio di posti vuoti. Uno dei ragazzi della comitiva aveva attratto subito il mio interesse: splendido esemplare di giovane napoletano, indossava un paio di jeans sdruciti, una cintura very metrosexual con una borchia molto particolare che rappresentava una specie di serpente con spire flessuose, una maglietta colorata di gusto pop, scarpe nere e lucidissime tipo Hogan. I capelli erano costruti con la gelatina in uno stile postpunk, la loro nera selvatichezza era stata ordinata con la gelatina in una composizione streetlife. E al lobo sinistro, un orecchino costituito da una sottile spilla che trafiggeva un piccolo disco completava il suo look sensuale e giovanile. Mi innamorai subito dei suoi occhio castani striati di verde, della sua voce irridente e scanzonata; sfotteva una bionda che corteggiava con nonchalance, mentre l’amico sembrava il tipico chiattillo da tappezzeria, un tipo insignificante con lo sguardo da persona studiosa e un paio di occhiali che già lo facevano futuro biologo o pressappoco. Quella che con un gesto di stizza si era avviato verso l’altro posto disponibile doveva essere una lesbica. Aveva i capelli rasati a zero, modi virili e carattere scostante. Ad ogni modo mi dispiaceva guastare l’armonia del gruppetto e spontaneamente mi offersi di cambiare di posto in modo che i quattro amici potessero stare insieme. Dapprima sembrarono non capire, dato che la gentilezza è merce rara in questi giorni cinici; poi mi ringraziarono con ampi sorrisi che esaltavano i denti bianchissimi e si profusero in “grazie”. Quello che mi piaceva esclamò: - Simpatico, eh? - o qualcosa del genere, quando mi allontanai. Con la mia proposta mi ero rivolto direttamente a lui, che stravaccato su uno sgabello con le cosce aperte e poggiato con le spalle al desco sembrava essere molto a suo agio. Avevo anche le mie ragioni, per il comportamento gentile. Certo rinunciavo a contemplare di sottecchi il mio Luca, così avevo sentito che lo chiamavano, ma in realtà me lo ingraziavo per il momento in cui con qualche stratagemma avrei approfondito la conoscenza di un tipo così interessante. Intanto ascoltavo con vivo interesse, ma senza dare nell’occhio, la loro conversazione e contemporaneamente gustavo la mia margherita. Finito di mangiare andai fuori a fumare una sigaretta e a pensare un modo per attaccare discorso. Non ce ne fu bisogno. Fu lo stesso Luca che mi rivolse la parola chiedendomi una sigaretta.
- Ma non ti sembra di esagerare?- rispondo con tono scontroso temperato da un sorriso di gioia che a malapena dissimulavo
- Che vuoi dire? –
- Beh, prima cedo il posto alla tua ragazza, poi ti faccio da tabaccheria ambulante…
- Ma chi, Elena? Ah, ah… lei è lesbica. No, io al limite corteggio quell’altra, Alessandra - e tira un po’ pensieroso una boccata di fumo.
- Spero per te con esiti positivi.
- Tutt’altro, è tutta presa dai crediti, gli esami, quel rattuso del professore di biologia che si scoperebbe volentieri pur di superare la prova. E parla solo di obiettivi, carriera, futuro…
- Una tipica ragazza di oggi. Sai, anch’io sono stato iscritto a biologia (che bugiardo) poi ho scelto una facoltà umanistica perché ho deciso di fare quello che mi piaceva.
- Figurati, io volevo fare cinema.
- Come attore? (noto che gli occhi gli brillano un po’ di narcisistica soddisfazione)
- Ma no, come regista o sceneggiatore… perché mi vedi attore?
Ma scherzi? stavo per rispondergli… con questi occhi così belli e con questo fisico… ma fortunatamente arrivano gli altri e mi salvano dall’esaltazione della sua bellezza che mi avrebbe subito sgamato.
Mi presenta agli altri e mi dice che loro stanno andando in piazza, se mi va di accompagnarli, io dico che faccio la stessa strada perché devo prendere la metropolitana. Nel frattempo penso alle nostre mani che si sono sfiorate mentre gli accendevo la sigaretta, al modo con cui mi ha toccato il braccio mentre parlava e a quell’unico brufolo sul lato destro del collo che vorrei far scoppiare chissà perché tra le mie dita.
Insomma, per non portarla a lunga, abbiamo preso insieme la metropolitana. Lui doveva scendere a Piazza V., l’altro amico era sceso alla fermata prima, mentre le due ragazze abitavano in centro e se la sono fatta a piedi. Io mi invento che devo scendere a Piazza V. perché devo comprare dei floppy vergini per il pc, lui mi dice che ha la macchina e visto che abito nelle vicinanze si offre di accompagnarmi. Mentre ci prepariamo a scendere siamo circondati di persone. C’è ressa e poco spazio. Luca è dietro di me e avverto qualcosa di solido dietro le mie natiche. Non riesco a capire se sono i sussulti della metropolitana o è lui che si struscia. Finalmente scendiamo e noto che si avvolge la giacca leggera che aveva tenuto in mano tutto il tempo attorno ai fianchi, coprendo la zona strategica. Io lascio cadere una moneta per terra e nel raccoglierla con il gomito lo sfioro in mezzo alle gambe. Resta immobile con uno sguardo imbambolato. Proseguiamo come se niente fosse. Succede nel parcheggio della metropolitana. Cominciamo a parlare e noto con piacere che non si decide a mettere in moto la macchina. Ad un certo punto non ce la faccio più e gli dico se gli posso schiattare il brufoletto. Lui acconsente e non avete idea di quanto liquido bianco schizzi e con che impeto. Lo pulisco con un fazzolettino dicendogli che mi piace molto il suo orecchino e se glielo posso sfilare. Acconsente ancora una volta e a toccargli il lobo mi eccito ancora di più. Grande imbarazzo, lui non parla più. Audace gli metto un dito nell’orecchio. Il profumo che ha addosso è senz’altro Hugo Boss. Mi dice con una faccia strana:
- Ma che stai facendo, dài andiamo… facciamo tardi!
Allora prendo coraggio, capisco che non è gay ma è eccitato lo stesso ed è disponibile; gli strizzo il pisello duro da sopra i pantaloni.
- Mi fai male - fa lui tutto serio.
- Dove? - faccio io,
continuando a carezzarlo dolcemente. Capisco che sarà completamente passivo e non prenderà alcuna iniziativa, ma mi piace così tanto che voglio farlo venire nella mia bocca per assaggiare il dolce sapore del suo sperma.
- Qui ti fa male?
E gli massaggio lentamente l’uccello che sento durissimo sotto le dita. Sento che il suo respiro aumenta e una vampata di rossore ed eccitazione gli colora il giovane viso.
- Perché non ti sbottoni i pantaloni, così vediamo meglio dov’è il problema? -
È completamente muto ma mi lascia fare e dire tutto. Sempre continuando a masturbarlo a secco gli dico:
- Sai, ho una voglia matta di leccarti dietro. La tua ragazza non ti ha mai leccato lì? Guarda che è bellissimo! Però dobbiamo cercare una buona posizione, nella macchina è impossibile.
Lo conduco nello stanzino del parcheggio dove sono conservate scope e secchi. Non c’è molta luce e questo forse lo disinibisce:
- Prendimelo in bocca, dài - mi esorta con voce bassa e spingendo la mia testa verso il basso. Quando mi accovaccio si sbottona i jeans. Indossa un paio di slip neri molto deformati davanti a causa dell’erezione e fuori fa capolino il glande che mi sembra una castagna odorosa. Gli do una leccata e mi rendo conto che è già umido di liquido prespermatico all'amaro sapore di caffè. Per non venire subito decido di cambiare strategia e lo faccio voltare.
- Aspetta, ti voglio fare una cosa che ti farà impazzire di piacere.
Ora c'ho la sua schiena davanti e gli abbasso gli slip da dietro, mentre dal lato genitale sono sostenuti ancora dall’erezione del suo membro a malapena coperta. È abbastanza pulito, e l’odore del suo muco anale è come di panna fermentata. Comincio piano piano a lambire il solco con la punta della lingua. Con la luce dello schermo del cellulare illumino il buchetto, ma non riesco a distinguere la coroncina rosacea. Vorrei vedere in piena luce le contrazioni di piacere che lo stringono e lo allargano come una rosa sensuale che sboccia a intermittenza inebriandomi del suo profumo virile. È dolcissimo e gode da matti, ma è ancora un po’ teso, lo avverto dalla rigidezza delle gambe. Tra le narici del mio naso sento i suoi peli e il loro profumo, deve usare un sapone al limone per le pulizie intime. Il solco anale è ora completamente bagnato e la mia lingua che vi sguazza comincia a fare dei rumori osceni, come se stessi leccando goloso un gelato. Poi sento un sapore nuovo, diverso da quello della mia saliva. È il lubrificante naturale delle sue ghiandole anali che rende l’organo pronto ad essere penetrato. Le contrazioni del buco sono così frequenti e violente che sembra voglia inghiottire la mia lingua sapiente. Ora non riesce a trattenere i gemiti di piacere, ma io dolcemente lo zittisco, ricordandogli che dopotutto siamo in un parcheggio pubblico.
- Aaaagh, non pensavo fosse così bello, ti prego continua così è una sensazione fantastica…
Gli etero purtroppo non sono consapevoli delle risorse di piacere insite nei loro organi. Il piacere che può procurare una persona del loro stesso sesso, che conosce il corpo maschile sempre meglio di ogni femmina e meglio di queste sempre ne può godere è a loro sconosciuto. Anche un pompino fatto da un maschio è un opera d’arte rispetto all’artigianato più onesto della migliore professionista. Questo succede perché le donne non hanno mai un culto del fallo come i gay, esse al massimo possono manipolarlo per procurare facili piaceri, ma non il godimento sublime dato da chi il pene lo adora come se fosse una parte di sé. Gli infilo dolcemente il dito da dietro, ma ho osato troppo per quello che deve essere la sua prima esperienza omo. Si irrigidisce perché ho violato il sacro santuario, l’oggetto proibito di ogni virilità. Anche se il buco continua a contrarsi dimostrando di apprezzare molto l’indolorosa e piacevolissima penetrazione, simile alla sensazione che si prova quando si fa una buona cacata, razionalmente non è ancora pronto per questo tipo di piacere. La mia esperienza mi suggerisce che sono andato fin troppo in là per questo primo incontro, e che ce ne vorranno altri per disinibirlo totalmente dai pregiudizi che gli hanno inculcato sin dall’infanzia. Credo che dipenda dalla presenza di un altro pene, il mio. Se fossi stato una donna sarebbe stato più accondiscendente, essendo una donna priva di organi che possano attentare, come a torto presume, alla sua virilità. E priva dello strumento che può dare il piacere più sublime, il godimento anale e il relativo orgasmo anale, che per ogni etero sarà sempre misterioso e costituirà l’invidia inconscia che hanno per i gay che lo provano. Intanto ho la faccia piena dei suoi umori, dopo un po’ di su e giù con il dito medio lui si gira all’improvviso e mi sbatte in faccia il suo glande umido. Capisco che il massimo che può concedermi è ora il suo cazzo pulsante attraversato da contrazioni spasmodiche. Gli abbasso gli slip anche davanti e riesco a distinguerne la sagoma scura. Accendo di nuovo lo schermo del cellulare e lo osservo meglio. Il gioco sembra eccitarlo. Lo impugno e lo libero completamente dal prepuzio, di modo che il glande si scopra completamente. È un arnese caldissimo che sarà lungo almeno 19 cm, in media un centimetro per ogni anno della sua età.
- Complimenti! - gli dico.
Gli soppeso delicatamente i testicoli gonfi del liquido degli dei, sembrano in ebollizione. Glielo prendo in bocca cercando di portarlo all’interno della mia gola con movimenti lenti e ritmici. Ogni volta che lo caccio fuori, ma mai completamente, lo avvolgo con un veloce movimento della lingua guizzante come serpe. Sento il suo sapore e avverto un’odore di primavera. Capisco che sta per venire. Allora con una mano gli stringo dolcemente i testicoli, con l’altra gli infilo a tradimento il medio nel buco ancora umido dandogli un sussulto di piacere mai provato, e con la bocca inghiotto solo la punta del membro slinguettando velocissimo tra il frenulo e il solco prepuziale. Degli schizzi violentissimi sembrano volersi spingere fin dentro il mio stomaco, e continuo a succhiare e a inghiottire tutta la sborra. Mi fido di questo giovane puledro, e non voglio gettare niente di lui, voglio nutrirmi di tutte le sue proteine, voglio incorporare il suo dna.
- Ghaaaaaaah – esclama lui inondandomi la bocca e stringendomi fortissimo la testa quasi facendomi male. Sto per perdere l’equilibrio e devo poggiare una mano per terra per non cadere. Con l’altra mi bastano pochi tocchi per venire anch’io senza sporcarlo, di lato, mentre c’ho ancora il suo in bocca il suo membro che si è prosciugato ma che è ancora duro e caldo. Dopo aver assorbito con la lingua gli ultimi rimasugli di sperma non riesco a staccarmi da quel pene magnifico, se non per dirgli:
- Aspetta che te lo pulisco per benino –
Glielo slinguetto con tale perfezione da prolungare il suo orgasmo fino allo sfinimento, sento le sue gambe che stringo fra le mani farsi finalmente molli, come se stesse venendo meno. Dopo quest’ultimo trattamento il suo uccello è più pulito di quando si è lavato. Glielo rimetto nelle mutande, gli sparo il mio numero di telefonino sul cellulare (il suo numero me lo aveva dato in macchina), scappando verso la metropolitana che mi condurrà a casa e lasciandolo lì, nel buio, con i pantaloni ancora abbassati e le sue secrezioni dentro di me. Abbiamo poco da dirci ora, e per le paranoie di coppia bastano già le ragazze che ti fanno pagare un pompino con una overdose di romanticismo. Quando vorrà godere, gratuitamente e senza implicazioni sentimentali saprà come trovarmi. Anche se io ne sono già innamorato.
Syd Vicious